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Laura Donnini

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Simonetta Fiori, in occasione della Fiera di Francoforte, conversa sullo stato dell’editoria con Laura Donnini, Direttore Mondadori  - La Repubblica  9-10-2012 a p.38-39

 

 

«Sì, dobbiamo aspettarci una stagione ad alta temperatura erotica. Sono già al lavoro diverse autrici, italiane e americane. E tutte scrivono trilogie, nel solco tracciato dalla James». Dietro il successo nazionale delle Cinquanta sfumature, il bestseller bollente che ha travolto le classifiche (forse anche la demografia) di tutto il mondo, c’è Laura Donnini, responsabile della direzione generale di Mondadori. Quarantanove anni, toscana di Follonica, una brillante laurea in Economia e Commercio, vasta esperienza internazionale, Donnini sembra esemplarmente incarnare l’ultima leva della grande editoria libraria, da domani raccolta nella Buchmesse di Francoforte. È la terza generazione dei publisher italiani, quella dei manager puri, venuta dopo la stirpe dei padri fondatori e i loro eredi ancora sospesi tra cultura e mercato. «No, non ho mai letto Thomas Mann, ma non credo sia un problema. Io mi metto all’ascolto di chi Mann l’ha letto, e cerco di trarre il meglio dalla squadra di editori che dirigo».

Passione, pragmatismo, anche umiltà. No, I Buddenbrook non li ha mai letti, ammette timidamente confermando la voce messa in circolo da un editor non più alla Mondadori, ma sembra anche chiedersi: ce n’è davvero bisogno?

Il mondo è cambiato, la rottura culturale degli ultimi anni ha modificato profondamente gerarchie del sapere, mercato dei libri e ancora molto altro. Laura Donnini ha imparato le strategia di marketing dall’industria di largo consumo – borotalco, saponette, dadi e perfino risotti di cui parla con piglio brioso e autoironico – rivendica di saper tutto del pubblico femminile grazie ai molti anni trascorsi alla guida di Harlequin Mondadori (regina delle storie d’amore con il marchio Harmony), ha rivitalizzato una sigla un po’ appannata come Piemme, e oggi occupa la poltrona più ambita della Mondadori, quella di responsabile dell’intera produzione libraria. Il suo sogno? Avvicinare il più possibile i libri ai lettori. E rendere più pop la cultura d’élite. In che modo? Ascoltiamola.

 

Lei arriva dall’industria di largo consumo, prima Manetti & Roberts, poi Johnson Wax e infine Star. In che modo questa esperienza le è servita con i libri?

«Tutta la mia esperienza è fondata sulla conoscenza del consumatore. Mi sono sempre sforzata di intercettarne bisogni e tendenze, progettando nuovi prodotti e adoperandomi il più possibile per comunicarli al potenziale acquirente. È la strategia del marketing, che poi ho messo al servizio del lavoro editoriale».

 

Si riferisce ai sette anni da Harlequin Mondadori?

«Là ho potuto conoscere a fondo l’universo delle lettrici, che è poi quello che più incide sul mercato. Una macchina internazionale molto complessa, che mi ha fatto capire cosa si pubblicava in Giappone o negli Stati Uniti. La produzione era tagliata sui gusti delle lettrici, dopo averne sondato gli orientamenti. Un laboratorio interessante, in cui ho potuto osservare in anticipo importanti fenomeni editoriali».

 

Quali?

«L’esplosione di Twilight è stata largamente anticipata dagli Harlequin americani. Lo stesso è accaduto con la moda del romance erotico, che oggi trionfa nella trilogia di E. L. James. Era già tutto in quei romanzi rosa».

 

Ne saremo travolti?

«Sicuro. È già all’opera un’intera squadra di scrittrici che però non rinunceranno ai topoi classici della storia d’amore, il principe azzurro e il lieto fine. In Italia la trilogia delle “sfumature” ha riscosso un successo che non ha avuto altrove, esclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito: due milioni di copie venduti in soli tre mesi».

 

Come lo spiega? Un popolo molto depresso?

«No, più una questione di strategia editoriale. Ad Harmony ho imparato che le lettrici di questo genere di racconti sono afflitte da una forma di addiction, di dipendenza. Così abbiamo deciso di mandare in libreria i tre volumi a distanza di poche settimane l’uno dall’altro».

Nell’editoria libraria, lei rappresenta la terza generazione, quella dei manager puri. Vi accusano di non avere gli strumenti per occuparvi di libri.

«Un’accusa insensata. Il manager trasferisce in numeri la qualità delle scelte fatte dagli editori, che sono i responsabili delle singole collane. Il mio compito è organizzare una squadra di talenti, che hanno totale autonomia nella scelta di autori e testi. Quel che mi propongo è valorizzare al massimo il loro lavoro. E farlo arrivare ai lettori: un dialogo che in passato non sempre ha funzionato».


Primum vendere. Ma con questo criterio non rischia di scoraggiare scelte editoriali meno popolari?

«No. Noi abbiamo un duplice obiettivo: da un lato intercettare i bisogni dei lettori sul piano dell’intrattenimento, dall’altro però dobbiamo continuare a investire nel dibattito intellettuale. La difficoltà è quella di far emergere i libri più complicati, ma la nostra missione è continuare a pubblicarli».


Però nel profilo di Mondadori questa “missione culturale” è oggi meno caratterizzante, specie sul piano della saggistica.

«È meno visibile, ma le assicuro che esiste. Il problema è più generale, e va oltre la Mondadori. Quest’anno abbiamo assistito a un fenomeno nuovo che è la “varizzazione” della saggistica: oggi hanno fortuna testimonianze di attori, protagonisti dello sport o della televisione, che si sono messi a nudo raccontando vicende dolorose. Un genere che un tempo apparteneva alla “varia”. Mentre ha sofferto molto la saggistica impegnata. Forse abbiamo bisogno di evadere, anche – e paradossalmente – con i dolori degli altri».


Marketing e lavoro editoriale, giovani e seniores: tutti seduti intorno allo stesso tavolo. Lei ha introdotto un modo diverso di organizzare il lavoro.

«Sì, più orizzontale. In un mondo che cambia così rapidamente dobbiamo tutti metterci in ascolto. Il mio stile di lavoro è fondato sulla condivisione delle idee di tutti – dall’editoriale al marketing, dal cartaceo al web – sempre con l’obiettivo di valorizzare il più possibile i libri. Certo aver messo in discussione posizioni e modalità del lavoro editoriale può aver generato fastidio, e in un caso una buona dose di veleno».


Come reagisce ai rimproveri che le sono stati mossi?

«Vado avanti, senza farmi condizionare. Non sono tenuta a essere un’esperta di letteratura, e penso che il mio compito sia un altro. Un anno fa qualcuno disse: vedremo i risultati. A un anno e mezzo dall’incarico al vertice di Mondadori posso già fare un bilancio: nell’annus terribilis della crisi, noi siano l’unico editore che cresce, in termini di quote di mercato e di classifiche. Abbiamo vinto Strega e Campiello, lanciato nuove collane, acquisito nuovi autori, sperimentato sul digitale. Il risultato è più che soddisfacente».


Avete perso Saviano.

«Io non ho avuto la fortuna di lavorare con lui, e dunque non posso dire di averlo perso. Lo considero un pilastro della cultura italiana: quello che ha da dire merita il massimo rispetto. La sua è una scelta personale che naturalmente rispetto, ma non mi crea problemi».


Quanto al premio Strega, rilevo un’anomalia. Ogni anno arrivano tra i cinque finalisti sia la Mondadori che l’Einaudi, marchio nobile che fa parte del gruppo. Quest’anno è toccato a Marcello Fois, finalista dell’Einaudi, fare da portatore di voti per Piperno, vincitore con Mondadori. Quattro anni fa fu ancora più eclatante il caso di Diego De Silva, candidato einaudiano che in finale di partita perse quasi tutti i voti. Non ritiene che questa compresenza in gara di due marchi dello stesso gruppo sia un fattore inquinante?

«No, le cose non stanno così. La verità è che siamo davvero concorrenti: ciascuno gioca le proprie carte, ed entrambi siamo messi nelle condizioni di concorrere ad armi pari».


Però, con qualche rara eccezione, vincete sempre voi.

«Ripeto: non si fanno strategie di alcun tipo. E – a dirla tutta – in prossimità della gara, tra le due case editrici sale la tensione. Forse per evitare questo tipo di polemiche si potrebbe decidere di competere un anno con Mondadori e un altro con Einaudi. Ma entrambi i marchi hanno una produzione narrativa di altissima qualità».


Come vorrebbe che fosse ricordata la sua Mondadori?

«Vorrei rendere un po’ più pop la cultura alta. Abbiamo appena promosso via facebook la vita di Dante di Marco Santagata: un successo insperato. Bisogna raggiungere i lettori, a qualsiasi costo. Senza snobismi o sopracciglia inarcate».

 


 Gian Maria Turi - 17/10/2012 23:27:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Ricordo che lo avevi citato qualche giorno fa... :)

 Domenico Morana - 17/10/2012 21:59:00 [ leggi altri commenti di Domenico Morana » ]

;-)))
Grazie, Gian Maria!

 Gian Maria Turi - 17/10/2012 21:46:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Sì certo, non c’era alcun riferimento a Lorenzo personalmente, che ripeto non conosco e quindi... che posso dirne?, ma solo al tuo definirlo sannyasin. E sì, penso sia la rinuncia alla supponenza dell’individualità ciò che importa, ma senza scambiare il discorso per un massimalismo della serie "siamo tutti uguali e ognuno e sostituibile" che non è affatto quello che penso. Purtroppo la questione è un po’ molto ambigua e confonde. Ma come potrebbe essere altrimenti.

http://www.youtube.com/watch?v=JdraXHvf1a8&list=PLFF7B64FEC84FB20C&index=3&feature=plpp_video

 Domenico Morana - 17/10/2012 19:19:00 [ leggi altri commenti di Domenico Morana » ]

E come rinunciare a ciò che non saremmo individualmente? Semmai una rinuncia alla supponenza.
Credo però che la questione sia fuor di luogo se si parla di Lorenzo Mullon, che invece di dolcissima modestia va preso a esempio.
In lui non trovo alcuna orgogliosa supponenza.
:-)

 Gian Maria Turi - 17/10/2012 10:35:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Domenico, la questione samurai era ironica. Anche se qualcuno potrebbe prenderla seriamente e non disturberebbe più di tanto.

Per quanto riguarda Lorenzo Mullon, che come dovresti ricordare ho apprezzato come poeta (ma che per altro non conosco), non condivido l’abbandono del campo di battaglia, per quanto lo capisca. E bene. A mio avviso il vero sannyasin non è colui che si ritira nei boschi e cerca la propria salvezza, il proprio benessere, per così dire, superiore. Il vero sannyasin è colui che rinuncia a se stesso e si sporca le mani e soffre (sì, una passione "autodistruttiva") per il maggior benessere di tutti. Perché in fondo non c’è destino individuale che non sia parte del destino collettivo. Non credo negli esseri superiori né nelle anime pure. E nemmeno nelle anime individuali credo, se proprio te lo devo dire. Anzi, ritengo quella dell’anima individuale la più grande supponenza pensabile. Quindi sannyasin è chi rinuncia a se stesso non chi cerca se stesso e l’unico modo per rinunciare a se stessi, date le presenti condizioni e forse di sempre, è considerare il mondo tutto divino - TRANNE SE STESSI. E magari considerare se stessi dei modesti servitori dell’umanità... "servus servorum Dei": la definizione è perfetta e se fosse mai stata rispettata questo mondo sarebbe un altro mondo.

Infine, condivido con te l’amore per i reietti e i dimenticati e anzi da tempo medito una ricerca proprio sulla letteratura (italiana) subalterna. Non so se sarò mai in grado o avrò la volontà di dare seguito a questo desiderio. Si vedrà...

 Domenico Morana - 16/10/2012 23:14:00 [ leggi altri commenti di Domenico Morana » ]

Gian Maria, Andrea, lasciamo perdere i samurai, non è più tempo. Verso un’ecologia “poetica”, per forzare il gergo di Bateson, si potrebbe andare, sereni, senza tanti timori e reverenze per i mercanti letterari e puntando direttamente ad aggirare le attuali tendenze del mercato “culturale”. Come? Hanno i giorni, i mesi gli anni... va bene... pure i secoli, contati... Non sopravvivranno. Non sopravvivremo. Ma forse dal nostro secolo si levano già voci non intonate a quel coro, forse rimarranno o forse no. Dall’altra parte non resterà nulla o quasi. Intanto io passo metà della mia vita a scoprire dei reietti abiurati, a ritrovare gli inascoltati, a leggere i dimenticati, gli ormai fuori squadra, gli inesportabili… e giuro che mi danno immensamente più soddisfazione le ore perse sulle bancarelle di biblioteca blu che la frequentazione delle fiere editoriali e degli ipermarket del libro. E mi costano meno. Coerenza, la chiamo. Se il mercato è morte io a quei “non morti” mi volgo, in colloquio. E ogni mio desiderio d’”esserci”, sul mercato, si smorza, sbiadisce, di fronte all’altra “orribile” urgenza di dire che mi "bisbigliano" le loro voci... E vadano al diavolo i mercati e i mercanti... Urge parlare d’altro... Di amare e di accettare e sconfiggere la morte, di ricordarci che siamo dei, mortali, ma dei. E comunque, per non generalizzare, credo che sia una “situazione” particolarmente italiana. Altrove, anche nello stravolto resto d’Europa, la “situazione” è certamente più fluida rispetto al Principio di Peter, importato da tempo chez nous e interpretato fin troppo alla lettera.
Scusatemi... per la chiacchiera a ruota libera... un prosecchino niente male prima, durante e dopo cena...
Ma per carità, Lorenzo mio, Mullon lasciatelo da parte, non tiratelo in ballo, lui ha ragione, lui è un sannyasin, lui è il POETA!

 Andrea Piccinelli - 16/10/2012 22:55:00 [ leggi altri commenti di Andrea Piccinelli » ]

Di solito è tremolante e insicura... praticamente un disastro!
Ma visto che conosci la canzone ed essendoti guadagnato (anche) per questo il mio eterno rispetto, per te, ma SOLO per te, sarò sempre disponibile :-)
Buonanotte!

 Gian Maria Turi - 16/10/2012 22:39:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Come Yukio! Com’è la tua mano, a proposito?

Conosco la canzone :)

 Andrea Piccinelli - 16/10/2012 22:22:00 [ leggi altri commenti di Andrea Piccinelli » ]

Come Yukio Mishima? Però scegliti un compagno con la mano ferma per il colpo finale, mi raccomando :-)
Conosci la canzone dei CCCP? "la morte è insopportabile per chi non riesce a vivere/la morte è insopportabile per chi non deve vivere".

 Gian Maria Tuti - 16/10/2012 22:10:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Tuti » ]

Vada per il seppuku allora, Andrea. Che almeno la si finisca in modo eroico e non andando a bisbigliare negli orecchi della gente come dei vecchi sporcaccioni...

This is the way the world ends
This is the way the world ends
This is the way the world ends
Not with a WHIMPER but a BANG.

 Andrea Piccinelli - 16/10/2012 22:00:00 [ leggi altri commenti di Andrea Piccinelli » ]

Si, Gian Maria, più o meno il senso del mio commento era quello. Non ho la presunzione di indicare una possibile strada da seguire. A dire il vero, ho le idee piuttosto confuse al riguardo. Al momento, l’unica soluzione praticabile mi sembra quella proposta da Lorenzo, quando dice che "i poeti dovrebbero andare in giro a sussurrare poesie alla gente agli angoli delle strade, o tenerle chiuse in un cassetto, e leggerle solo alle persone care, ma con la loro voce". Un caro saluto!

 Gian Maria Turi - 16/10/2012 21:04:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Già. E’ proprio così. Il capitalismo vince sempre perché in grado di mercificare ogni cosa, perché non importa che cosa si venda basta che si venda, e se si può vendere la rivoluzione e la sedizione, tanto meglio, anche loro avranno il loro posto in società. Stesso discorso, ma a livello esponenziale, per le organizzazioni malavitose, mafia in testa, che hanno fatto la fortuna di scrittori, attori, registi e produttori.

Se ben capisco il pensiero che sta dietro al tuo commento, quindi l’unica vera rivoluzione al sistema capitalistico è creare prodotti invendibili, non-essere sul mercato, in pratica non-esserci. In pratica un seppuku culturale... Potremmo anche teorizzarlo come forma eroica di ribellione...

 Andrea Piccinelli - 16/10/2012 15:02:00 [ leggi altri commenti di Andrea Piccinelli » ]

Mi viene in mente la storia di Dada. Agli inizi del Novecento, lo scopo del gruppo dadaista era quello di ribaltare i valori tradizionali della cultura occidentale. Sovvertire i canoni artistici era il primo passo, lo stimolo che nelle intenzioni dei suoi esponenti avrebbe innescato un radicale mutamento della nostra società. L’irrazionalità ludica delle loro opere serviva a smascherare lo stantio razionalismo e l’eredità classico-umanistica, il cui risultato più clamoroso era stata la totale negazione della vita umana, la Guerra.
Lo stesso atteggiamento di contestazione (seppure con differenti presupposti e finalità) caratterizzò gli altri movimenti d’avanguardia, fino al Surrealismo e alle correnti artistiche della seconda metà del secolo scorso.
Una sfilza di buoni propositi, progetti ambiziosi e fervide menti hanno vivacizzato il panorama artistico e intellettuale di quei decenni, mantenendo sempre un carattere settario.
Di fronte a ciò, cosa ha fatto la cosiddetta Cultura Ufficiale? Si è limitata a "istituzionalizzare" le avanguardie, le ha rese un trastullo per borghesi. Asettiche e innocue. Uno svago innocente con cui saziare le "Esistenze Commerciali".

 Gian Maria Turi - 15/10/2012 20:13:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

"La massificazione è un concetto antidemocratico, perché la democrazia autentica è chiamata a tutelare le peculiarità di ogni individuo."

Chissà se la povera Donnini si rende conto della metà delle accuse che le vengono mosse in questo forum. Chissà se gliene fregherebbe qualcosa, abbrutita come deve essere sul profitto. D’altra parte da chi tratta la cultura e la conoscenza come un PRODOTTO che cosa ci si può aspettare? Secondo me però - è una "provocazione" che lancio a tutti coloro che finora hanno commentato - è sbagliato non fare i conti con lo stato delle cose e arroccarsi in qualche ghetto letterario o eremo del pensiero. Bisognerebbe invece forse (forse!) trovare qualche formula e modalità che pur sfruttando i canali della cultura di massa riesca a far passare altre scritture e altri contenuti. Raramente, però capita a volte che anche nella cultura-prodotto ci siano libri, film, opere d’arte, ecc. che meritino di esistere e di essere prese in considerazione. Credo siano quelle che uniscano l’aspetto più volgarmente ludico e d’intrattenimento a contenuti di qualità. Certo qualcosa si perde, qualcosa di importante, ma forse in questo cenacolo vale la pena di pensarci. Pensare a quali forme, anche poetiche, possano, non dico massificarsi, ma diventare di più comune fruizione.

Come cibo per la mente a riguardo vi invito ad ascoltare questo podcast: http://www.historycast.org/didattica/harrypotter.htm

 Andrea Piccinelli - 15/10/2012 17:24:00 [ leggi altri commenti di Andrea Piccinelli » ]

Sono davvero lontani i tempi in cui alla Mondadori il ruolo di direttore letterario era ricoperto da Vittorio Sereni! Eppure, già ai tempi del poeta luinese il fenomeno della mercificazione dell’arte e dell’aculturazione prodotti dalla civiltà dei consumi era maturo (il saggio di Adorno ed Horkheimer risale all’immediato secondo dopoguerra). Da allora, le tecniche elaborate dalla "fabbrica del consenso" si sono raffinate ed oggi hanno raggiunto un livello di maggior pervasività. Le candide ammissioni della signora Donnini sono lo specchio della società contemporanea. Una società gretta, egoista, superficiale, narcotizzata e abbrutita dai mass media controllati dal fondamentalismo ideologico liberista. Una società afflitta dall’amnesia e dal bisogno di far dimenticare la Storia per perseguire gli interessi delle classi dominanti.

 Giovanni Baldaccini - 15/10/2012 16:08:00 [ leggi altri commenti di Giovanni Baldaccini » ]

Questa intervista rappresenta lo specchio perfetto di tutto ciò che ci affligge. L’intervistata è portatrice di idee pericolose perché nullificanti e personalmente rabbrividisco ogni volta che ne incontro una. Ogni forma di massificazione è morte d’anima e se questa è la filosofia dominante - e lo è - non resta che stendere un velo pietoso sulla società in cui abbiamo la disgrazia di vivere e cercare di rannicchiarci il più possibile nelle residue nicchie, come, ad esempio, la scrittura, sia essa prosa o poesia, purché sia espressione di qualcosa capace di significare e non muto moto di niente. Se esistessero farei i miei auguri ai lettori di Mondadori, e di ogni tipo di romanzo rosa, ma per fortuna non esistono e posso risparmiarmi l’ipocrisia.

 Luciana Riommi Baldaccini - 12/10/2012 23:29:00 [ leggi altri commenti di Luciana Riommi Baldaccini » ]

Sottoscrivo totalmente l’intervento di Antonio Piscitelli dalla prima all’ultima riga (firma compresa) e mi associo alla precisazione di Franca Alaimo sulla lettura come nutrimento e non come passatempo: ne abbiamo fin troppi di diversivi di massa propinati con ogni mezzo proprio per indurre quel modo scadente di pensare e di comportarsi che purtroppo vediamo dilagare nella nostra società.
Sarebbe scandaloso il "candore" con cui la Donnini parla delle politiche editoriali, se non ne fossimo già da tempo dolorosamente consapevoli.

 Franca Alaimo - 12/10/2012 18:31:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

E no, Antonietta, non è solo importante che la gente legga, ma cosa legge! La lettura non è un passatempo, ma un nutrimento e, se ci cibiamo di cose scadenti, penseremo e ci comporteremo in modo scadente.
La massificazione è un concetto antidemocratico, perché la democrazia autentica è chiamata a tutelare le peculiarità di ogni individuo.
E, poi, cadi in una contraddizione palese: come fai a suggerire alla signora Donnini di prendere in considerazione la poesia? Pensi che chi legge biografie di personaggi insulsi e libri di insulso erotismo
compri, possa interessarsi alla poesia che è uno spazio espressivo di ben altra profondità?

 Antonietta Ursitti - 12/10/2012 17:42:00 [ leggi altri commenti di Antonietta Ursitti » ]

Interessante intervista che mette in evidenza l’importanza della lettura come fenomeno di massa e non circoscritta a ristrette nicchie, e mi sembra che la Donnini abbia le idee molto chiare in proposito. D’altro canto non si può avere atteggiamenti snobistici in un’epoca in cui diventano fenomeni diffusi reality e trasmissioni televisive di basso livello culturale,dunque ben venga una diffusione di narrativa erotico-rosa, l’importante è che la gente legga e si spera non solo chi è dipendente da un certo genere...Antonietta Ursitti. Io raccomanderei di non sottovalutare l’importanza della poesia, genere bistrattato dalle case editrici, perchè vende poco, è un mezzo molto importante per destare nel lettore riflessioni emozionandoli in maniera immediata.

 Lorenzo Mullon - 12/10/2012 17:25:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

E povera signora Donnini, cosa deve fare, applica i suoi numeretti alla produzione di libri, e d’altra parte lavora in un’industria editoriale, si chiama così: "industria editoriale", e non può esistere, e non esisterà mai, un’industria buona, è una illusione, ciò che è industria è anti umano, risponde a criteri di utilità profitto e massificazione, anche se si traveste da design.
Le organizzazioni sono mostruose, sono dittature, l’industria è nemica della persona, e quando si inseguono i numeri, e si perde la manualità, non si può che andare indietro.
Il progresso è un fantoccio perverso, l’evoluzione non esiste, un’etichetta applicata a quello che non conosciamo, la tecnologia non migliora la qualità dell’uomo, semplicemente lo attutisce, gli offre un’illusione di comodità in cui perdersi, qualche pulsantino e qualche lucetta ipnotizzante.
Smettetela di rincorrere gli editori, i poeti dovrebbero andare in giro a sussurrare poesie alla gente agli angoli delle strade, o tenerle chiuse in un cassetto, e leggerle solo alle persone care, ma con la loro voce, senza usare aggeggi meccanici, senza l’illusione del pubblico, del successo, senza blandire i markettari, i potenti di turno, senza prostituirsi per pubblicare, senza pagare i critici.
Scrivo questo perché ho ricevuto l’invito ad aprire l’intervista, dal prossimo mese mi stacco da internet, risparmierò trentacinque euro al mese, e avrò tanto tempo in più per andare a camminare nei boschi.
Aveva ragione Pasolini, ma ormai è troppo tardi.
Trovatevi un angolo di pace, guardate le nuvole, e siate felici!

 Gian Maria Turi - 12/10/2012 15:09:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Hahaha... Vanna Marchi dell’editoria! Ma è proprio così, grande Antonio!

 Antonio Piscitelli - 12/10/2012 13:46:00 [ leggi altri commenti di Antonio Piscitelli » ]

L’intervista si commenta da sola e dichiara, senza falsi moralismi, lo stato dell’editoria nel nostro paese. Le porcherie vengono pubblicate perché hanno acquirenti, i buoni libri sono appannaggio dei pochissimi che hanno la pazienza e la costanza di andarseli a cercare altrove. Sono grato alla redazione de "LaRecerche" per aver dato voce a questa Vanna Marchi dell’editoria nostrana che, senza mezzi termini, rende pubblici i meccanismi che regolano il mercato dei libri. Ce li aveva già rivelati il bel libro di Francesco Prisco, Bomba Carta, Guida ed., da me recensito su queste stesse pagine. Che aggiungere? Credo che nessun paese europeo raggiunga la volgarità del nostro in fatto di cultura. Riusciamo ad esser primi in qualche modo. F.to: un lettore attento de "I Buddenbrook".

 Alessandro Franci - 12/10/2012 13:02:00 [ leggi altri commenti di Alessandro Franci » ]

Il libro è un prodotto, in quanto tale va piazzato sul mercato e come tutti i prodotti, venduto. Chi usufruisce del prodotto? trattandosi di un libro è certamente un lettore, ma questo è secondario se il libro è un prodotto: innanzi tutto è un consumatore. L’importante, infatti, è che il consumatore acquisti il prodotto, l’uso che poi ne farà è indifferente. La logica del “mercato” sembra suggerire questo.
La differenza che c’è tra l’industria editoriale e quella automobilistica oppure turistica e così via è che ancora è necessaria una figura quasi anomala, cioè lo scrittore. Però con i molti e bravissimi editor presenti nelle maggiori case editrici, si potrebbe ovviare anche a voci di costo quali diritti d’autore, di immagine ecc.

 Franca Alaimo - 12/10/2012 12:36:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Secondo me, non devono essere i gusti della massa "quasi analafabeta" a guidare le scelte delle case editrici, ma il lavoro culturale delle case editrici a formare il gusto delle massa e a innalzare la domanda di cultura. Ma tutto questo non solo è difficile, ma spaventa. Non si può applicare ai libri lo stesso metodo della vendita delle saponette. Capisco: è meglio dare in pasto le biografie di "eroi/eroine" creati ad hoc dai mass- media, per i quali, magari, scrive qualcun altro che offrire cibo alla mente: potrebbe mettersi a pensare e questo no, assolutamente no...
Nessuno,a quanto pare, vuole più e-ducare, nemmeno chi sarebbe preposto a farlo!

 Gian Maria Turi - 12/10/2012 11:42:00 [ leggi altri commenti di Gian Maria Turi » ]

Cultura e mentalità di regime - se mai ne sono esistite altre di sopra ai marciapiedi.

 patrizia pallotta - 12/10/2012 11:10:00 [ leggi altri commenti di patrizia pallotta » ]

Tutte le domande che sono state poste a Laura Donnini,sono indubbiamente mirate a determinati argomenti che chi legge molto porta
dentro sè. Sinceramente non sono sicura che le risposte siano state
esaustive per tutti i lettori. Soprattutto ho notato una tenica di
risposta molto pronta e preparata di una donna che, come per tutte le
grandi Case Editrici, focalizza il suo intento alla commercializzazione dei libri e a badare alla concorrenza. Non esiste
più, purtroppo, la scelta della pubblicazione fatta in base ad una vera cultura, si lavora sul marketing e solo su quello. Ci sono migliaia di autori non ancora famosi, che meriterebbero molto di più
di quelli pubblicati dalle Case Editrici per eccellenza. Si diventa
qualcuno solo se si ha un testo pubblicato da Einaudi o Mondadori.
Funziona così, anche in questo campo, sebbene si voglia dare un’appa-
renza diversa. Complimenti a Laura Donnini che,per sua ammissione,
sincera, pur non essendo un’appassionata lettrice, ha uno staff che
sa decidere quale e quando debba essere pubblicato un testo. Uno schiaffo alla cultura, direi... il dio denaro ha sempre avuto la
fetta migliore della torta. Chi crede più alle sofisticate trasparenze
che ancora vogliono regalarci?

 giuliano brenna - 12/10/2012 09:12:00 [ leggi altri commenti di giuliano brenna » ]

Molto interessante, sebbene il passaggio: "Quest’anno abbiamo assistito a un fenomeno nuovo che è la “varizzazione” della saggistica: oggi hanno fortuna testimonianze di attori, protagonisti dello sport o della televisione, che si sono messi a nudo raccontando vicende dolorose." Secondo me sarebbe più sincero dire che sfruttano pseudobiografie di personaggi famosi per vendere libri facendo leva sul la notorietà dei medesimi; non la chiamerei saggistica.

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