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Il bambino che non voleva vincere

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Valerio si accostava alla madre, a mo' di un fagottino che vuole essere baciato da lei. Non si capiva bene come mai poi, tutto a un tratto, si metteva a piangere.
E tutti dicevano: "hai visto l'uomo nero?"
Forse, pensavo io raggomitolata in un angolo di dolore e tenerezza, avrà visto vero l'uomo nero. La personificazione della solitudine, dello stare in braccio alla propria mamma e non avere altro che l'abbraccio del buio.
"Valerio, fammi vedere come si gioca con questa macchinina". Silenzio intorno, lui si nascondeva il volto con le manine. E gli altri continuavano a chiamarlo. "Valerio, dai, non fare il guastafeste, è il tuo compleanno. Dobbiamo stare tutti allegri."
Sì, dovevano stare tutti allegri, e lo sapevo io come saranno tutti allegri il giorno che la colpa mostrerà le fauci e, nel silenzio fuori e nello stridio dentro, si chiederanno: "cosa abbiamo fatto di male? dove abbiamo sbagliato?"
E' nelle domeniche come queste, dove la giornata è bella e tutto si dà per scontato, che si ferma il librarsi di una farfalla, si ferma lo spuntare del sole, troppo cocente o troppo debole. Questo era l'amore della Signora Freddi.

"Oggi Valerio fa cinque anni, diciamo tutti insieme auguri a Valerio".
La zia, zitellona di quarant'anni e sempre di buon umore, stranamente, vestita con immensa cura, tutta collana e calze viola, stava così attenta a tutto, forse stava anche attenta a non finire come sua sorella, sposa e madre granitica.

Tutti i bambini batterono le mani e Valerio per un momento sorrise. La madre non se ne accorse e continuava a incitare il bambino che le stava sulle ginocchia, con un entusiasmo secco.

"E' l'ora della torta", disse un bambino più grandicello degli altri. E aveva già il sapore goloso in bocca.

Strano come una mente e un cuore di una madre non si accorgano di certi vuoti. Forse perché troppo intenta a se stessa. Forse perché la rabbia l'ha accecata. Forse per poca intelligenza.
E chissà quando il povero Valerio sarebbe stato attore dell'avventura più bella, protagonista di un amore senza fango, ma d'oro. Chissà.

Era il momento di spegnere le sue cinque candeline. "Esprimi un desiderio"
Il bambino sembrò smarrito e disse: "non lo so".
"Tutti abbiamo i nostri desideri", disse la madre, ma quell'ovvietà faceva male, detta così, senza argini di sorta, senza una protezione di calore umano. Forse il mondo, così poco visto, così tanto sofferto, aveva scottato la sua iniziativa, i suoi occhi vogliosi di colori. Sempre più si andava configurando un bambolotto e non un bambino, ogni spirito creativo veniva come bruciato e si ritrovava a vivere una piccola vita da recluso di se stesso.
Era prgioniero dell'immagine di lui che la madre gli rimandava. Così non si piaceva e non aveva voglia né di divertisi, e porca miseria era la sua festicciola! né di scoprire cose nuove. Il mondo aveva la stessa durezza di roccia della madre. Era duro e freddo. Era come la notte che nel suo lettino lo veniva a trovare. Era la paura della morte, la mancanza di un sorriso, di un abbraccio, insomma della mancanza della verità.

"Amore, qualche cosa, non so, che vuoi, che ti piacerebbe avere..."
La zia era discreta. Ma pensava: <<questo bambino non è sano. Ma come aiutarlo?>>

Il bimbo scoppiò di nuovo a piangere e scappò tra le braccia del padre che lo guardò preoccupato e lo carezzò finchè non smise il pianto e sembrava che stesse per addormentarsi. Allora lo misero a letto e, visto che era tardi, conservarono la torta, l'avrebbero mangiata l'indomani.
Ad uno ad uno i bambini se ne andarono e lì, in quella veranda, non restò altro che un abbaiare intermittente di cani. Sembrava una brughiera, quella terrazza . Ce ne voleva per trovare un fiore.

Valerio però aveva già imparato a leggere. E aprendo un libro che gli avevano regalato cominciò a cercare di capire quello che c'era scritto.

FRA GO LE

La prima parola gli piaceva, sembrava già di sentire il sapore di una vita che andava oltre quella abituale e fonte di lacrime. Ripeté la parola e alla terza volta che la disse, un cesto di fragole si formulò davanti a lui, e non era certo meno appetitoso dell'idea che se ne era fatto. Anzi, sembrava un frutto vivo.

La cosa non lo spaventò, gli piacque molto, e allora provò con un'altra parola.
Sillabò:

CA REZ ZA

Gli venne da piangere quando sentì quel torpore, quella sicurezza che mai aveva sentito in vita sua.
E allora lo ripeté più volte:

CA REZ ZA

Non si stancava di ripeterlo. E piangeva, di gioia, dimenticando, ma solo un poco, il dolore.

Poi lesse:

CA SA

Batté le mani. Non vedeva l'ora di vedere una casa, come aveva sognato sempre con tanti colori e abbracci.

Si materializzò davanti a lui un'abitazione povera, ma con una finestra bene adornata dove facevano capolino una mamma, un papà e un bimbo. Lei cantava una canzone e il papà le carezzava il volto e guardavano entrambi ammaliati ciò che faceva bellissima quella casa diroccata.

L'immagine andava sempre più sbiadendosi, sempre più... E si sentiva una voce che ripeteva continuamente:
"Vai dalla tua mamma e dille che il suo bambino morirà se entro tre giorni non rivernicerà la casa di mille colori e, soprattutto, se non gli darà la possibilità di disegnare quello che lui vuole..."

Valerio si copriva con le manine le orecchie, ma ora era contento perché aveva un compito e voleva obbedire alla voce. Quella voce sembrava partire dal suo profondo. Forse la famiglia era già in lui. Come un albero con radici profondissime che stavano già franando il terreno, zeppe di emozioni: una voglia grandissima di tenerezza e una furia distruttrice. La carezza di quella sera, alla lettura di quella parola, non si posava solo sulla lacrima di un viso, ma su una tristezza dolorosa.

Si mise a dormire. Si addormentò subito e nel sogno ritornò alla sua cara famiglia e apprese i disegni che doveva fare nella nuova casa.
Ed era importante non buttare giù le fondamenta della casa, ma soltanto riverniciarle perchè le fondamenta la casa le aveva, come un po' d'amore era passato nella vita di quella coppia che aveva messo al mondo il piccino.
Da quella casa aveva avuto la sua partenza l'amore, sempre a casa aveva trovato la sua guerra. Infine -per cominciare- i disegni, i colori di una casa. Perché una casa deve essere sempre colorata


 Guglielmo Peralta - 09/08/2010 12:28:00 [ leggi altri commenti di Guglielmo Peralta » ]

Questo racconto sembra una favola, ma costruita col tessuto doloroso della vita. E la favola è il sogno, la speranza nel cambiamento, il desiderio di mutare quel tessuto in un bell’abito colorato.

Ciao, Vale!

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