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al testo di Abraxas
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L'esordio è da fiasco: che fischi, che lazzi,
che tirate d'orecchi, che giorni da pazzi. Il primo atto va in scena: è un corteo funebre ad aprire il racconto, poi è tutto un susseguirsi di sciagure e drammi di vite segnate dal pianto e dal lutto. Il secondo atto è una danza d'amore: ora dolce, ora frenetica, mai felice. Gli attori recitano a soggetto, la regia si limita a suggerire il canovaccio, le donne se le danno di santa ragione prima di scegliere un altro a casaccio. Al terzo atto già il pubblico sfolla: non succede nulla, non cambia niente. Solo uno muto parlare che invece di accendere scintille, acquieta la mente. E' il trionfo del banale: il protagonista recita un monologo nel vuoto deprimente. Il finale l'ha scritto una mano ispirata: c'è una morte da raccontare, la fantasia può lavorare di fino, agitare emozioni per quell'istante che forse vale la serata, tra musiche struggenti e tristi canzoni. Giù il sipario, l'ultimo atto è terminato. |
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