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al testo di Adielle
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Nella palude che sta passata la nuca s'avvolge refrattaria alla luce un'idea a suffragio del fatto che, temuto il caso che s'avveri, allora s'avvera con ostinazione, la cosa che temi. Tornano alle tempie soppalcate a dirmi che non sono altro da loro gli inquilini del terso piano dai cui allori di cemento armato predicono il futuro deducendo che sarò, dalle vene a sbalzo un altro quando, confuso e delicato. Mi piove dentro una sconfitta così dolce e rammaricata da diluire il sangue a più quieto fluido e i tendini s'allentano in tensioni meno crude. Non voglio che mi aumentino la dose, tengo duro o vuoto il sacco pieno di piume e spine e spighe di grano? L'infermiere che mi misura la pressione prende appunti da consegnare a chi di dovere paventa la possibilità che possa tornare nell'acquario se non lascio che mi curino come vogliono loro. Intanto i miei pensieri rubati da ladri violenti, violentatori scaltri senza semi, non mi perdonano. Quando basterebbe venire qui per farsi due conti. Nell'acquario poche finestre cambiano l'aria aperte sull'oltre può capitare che altri pesci la mordano per rifarsi i denti invano. Può capitare di perdere il controllo sul proprio pensare come fosse essere risucchiati in un vortice di vuoto ad occhi chiusi e con le mani legate dietro la schiena in cerca di un fondo su cui poggiare i piedi nudi di nuovo. In cerca di luce dal basso. Avallando la falsa prospettiva che la salvezza possa arrivare solo per grazia. Dimenticando che il comportamento che tieni nel pozzo sia altrettanto determinante. E' una relazione, come la vuoi sbilanciare? Scrivere potrebbe servire, da consumarsi le unghie se riesci a liberare le mani oppure attaccare la parete a morsi cantando le canzoni magari, che ti fanno coraggio. Nell'acquario.
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