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al testo di Adielle
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L'inversolabio, il labiale venerabile riconducibile ad un solo soffio delle labbra in sillaba, posta postuma tra due virgole e un accento folgorante di pupille, d' inguine, il moto rotatorio, orbita di quattro stelle interrotte sull'onda di un'incognita.; punto e punto e virgola a un incrocio d' asfalti quello che più tiene la pioggia, l' arrotola in strali, in raggi, con dita prensili di cicala, è la strada più sicura che percorri senza rotta ma la musica di allora è un disco rotto, poi quando, forse, ci si scopre di nuovo a trafficare con l'inconscio, si rende grazie o l'anima a dio, per un tipo d'amore lasciato a morire. Ed è troppo tardi, nonostante ripercorri tutti i fili delle trame che sognasti, prima di diventare altro da quello che eri destinata ad essere, secondo i miei calcoli sbagliati. E' l'eterno che s'avvera in pochi attimi, distratti, di cui non terrai conto nella somma dei domani. Dove gli argini di un ricordo sono di troppo, non fossero che traguardi sull'orlo di un oblio. E quel ch'è mio è tuo e quel ch'è tuo è mio se lo credi vero chiudendo gli occhi e sussurrando che mi ami. Come se andassimo a finire in un posto segreto dove gli atomi fanno come i gatti e si rincorrono di notte mentre le persone per bene vanno a dormire, animali da somata e corpo umano. O i viaggi astrali non hanno temperature polari? Tanto a favore delle femmine da essere scambiato per femmina e non tanto a favore delle femmine da essere un vero maschio alfa. Perchè è in combutta con questo tempo, la voragine che si apre nell'anima poprio sotto le scapole, come previsto dagli altri che eludono quella stessa fine, battezzati in un fiume, presi dal tallone, come tanti piccoli Achille in cerca di perdono. Batte sul palato questa lingua. E io vi perdono, come fossi figlio di dio e ne avessi il potere. Contavo i giorni da lei in andirivieni, poi non venne più e mi arresi ai quattro venti rinunciando ai perchè come alla parte degli angeli. Quanto ho sperato che le stessero bene le mie parole mentre correvano sotto i vestiti. Una posa plastica, una rosa d'avorio, una parola buona, un silenzio d'oro: non vorrei morire nemmeno per un giorno, certi sabato mattina. E fossi pronto per la fine del mondo durerei solo pochi attimi respirando nell'abisso. Ma poi quella luce infinita che vidi mi condusse fuori e finalmente diventai un mostro, tra uno scroscio d'applausi e un rito funebre alla base degli occhi, dove bandirlo dallo stato delle cose. No way, il pregiudizio, di non procedere col rosso, superato dal carnevale dell'incrocio, dove ogni opportunità è un racconto letto tra gli equivoci e le maschere che indossiamo. Poi attraversare insieme il nodo slacciato, la cordiale cruna dell'ago. |
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