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al testo di Alberto Rizzi
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Tu pensa se sia giusto chiamare un luogo qual esso sia “terradura”
Così da immaginarsi inutile ogni gesto che curi apra un futuro che soffio porti alle speranze del cuore
così da immaginare donne dalle cosce scoscese difficili da raggiungere il loro ventre colmo d’uova e che fissano dallo sfascio delle veneziane sbilenche su facciata lasciata all’abbandono
e un florilegio di formiche infine a grumo dal piede d’una pianta seccata
Così da immaginare un amante solitario di vedetta lassù in alto
(se ci fosse pietà di dirupo in questa terra d’orizzonte piatto)
nell’attesa di un nulla che gli sia di compagnia
E tu allora passeresti le vie lo spazio a volte fango che si erge a piazza altovociàndo fra te e te
“Quale sarà il nome di quell’altro luogo, quello vivo di gente; quello il cui albergo accanto alla stazione era invece sacrosanto, serrato e scrostato agli ospiti? Ditemi il nome, il nome perdìo! Ditemi il nome!”
Vivono solo di ossimori gli abitanti di questo deserto
ciascuno di loro solo come un blu intenso a filo d’orizzonte
(tratta dalla raccolta inedita "Il mestiere e altri accidenti") |
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