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al testo proposto da Alessandra Ponticelli Conti
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Ormai somiglio a una vite che vidi un dì con stupore. Cresceva su un muro di casa nascendo da un lastrico. Trapiantata, sarebbe intristita. Così l'anima ha messo radice nella pietra della città e altrove non saprebbe più vivere. E se ancora m'avviene di guardar come a scampo ai monti lontani, in realtà essi non mi parlano più. Mi esalta il fanale atroce a capo del vicolo chiuso. Il cuore resta appeso in ex voto a chiassuoli a crocicchi. Aspetti di cose mi toccano come nessun gesto umano potrebbe. Come la vite mi cibo di aridità. Più della femmina, m'illudono la sete e gli artifizi. Il lampeggiar degli specchi m'appaga. A volte, a disturbare l'inerzia in cui mi compiaccio affiora, chi sa da che piega di me, un mondo a una sola dimensione e, smarrita per esso, l'infanzia. Al richiamo mi tendo, trepidante mi chino in ascolto...Ah non era che il ricordo d'un'esistenza anteriore! Forse mi vado mineralizzando. Già il mio occhio è di vetro, da tanto non piango; e il cuore, un ciottolo pesante. Camillo Sbarbaro, Trucioli, Mondadori
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