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al testo di Alfredo Rienzi
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Attraversamenti di Beppe Mariano, Edizioni Interlinea, 2018)
Il tempo di annotare qualche osservazione sull’ultima raccolta di Beppe Mariano, Attraversamenti, ed è già diventata la penultima. Infatti è di pochi mesi fa la pubblicazione de Il Monviso e il suo rovescio che, editato da Mursia, ne eredita la novità. Questa può apparire una mera annotazione bibliografica, ma, considerato che Mariano è del 1938, ci occhieggia, inevitabilmente, un aspetto della poetica dell’autore piemontese, ovvero la facilità d’occasione, lo sguardo pacato ma vigile sul mondo, declinato nell’ampia scala delle dimensioni, tra la saggezza dilatata e gli accadimenti quotidiani, spesso utilizzati metonimicamente e con il peculiare dettato ironico e meditativo-interrogativo. La raccolta contiene, come ci informa il sottotitolo in interno, testi scritti tra il 2011 e il 2017, quindi, a tutti gli effetti, come cospicua produzione successiva alla fondamentale antologia Il seme di un pensiero (Poesie 1964-2011), che non è stato, dunque, per citare l’Autore, esemplificandone subito l’autoironia, «come quell’altro/ il mio congedo cerimonioso» (p. 106). Mariano, che sa essere modernissimo nelle forme versali, non evita, infatti, una – serena e aspra al contempo – riflessione sul suo tempo (ad es.: «la tua vecchiezza corsara/ stride come un uccello di rupe/ a volar basso, irrasegnato:/ godrà del poco verde che rimane» (p.108). Ma, dichiarato solenne anatema a solipsismi e autoreferenzialità egoiche, la misura di questa poesia sta nella battaglia con le storture del proprio tempo o, in fondo, della natura umana sic et simpliciter. Alessandra Paganardi, in una delle più appassionate letture della raccolta che ho avuto sorte di leggere (almanacco.com del 25.4.2019) pennella: «una coscienza del proprio tempo elaborata con mezzi originali, espressa nell'assolo vigoroso, testardo e scabro di un poeta non allineato». L’architettura della raccolta richiede una considerazione: Attraversamenti è il titolo della prima delle tre sezioni (seguono Pietrærba e Sconfinamenti) e, in questa, del primo componimento, ampio e poematico. Testo che, collocato all’inizio, avrebbe potuto risultare predominante sul resto della raccolta, sottraendo luce al prezioso seguito. Mi sono interrogato su questa scelta, certamente consapevole, dell’esperto poeta. La mia abitudine a leggere le prefazioni dopo la raccolta, mi avrebbe fornito valide risposte, già che, come sottolinea Giovanni Tesio, tutta la raccolta narra di attraversamenti(/sconfinamenti): quelli che, indossando gli abiti d’occasione di una sofferta migrazione contemporanea, e alludono a uno stato dell’essere – individuale e collettivo – con tono epico-tragico e ampiezza universale (non casuale le epigrafi, tra Sofocle e l’anonimo del XXI secolo) al tempo stesso mitico e demitizzato; quelli della propria vicenda letteraria (da cui le dediche a Conte, Barberi Squarotti, Tesio, Verdino e altri, più recenti, di cui rispettiamo il semianonimato, Giampiero C., Sergio G. ecc); quella dei propri giorni e delle passate stagioni. Oltre al comune denominatore che, a questo punto, ben spiega (e rende convinti della bontà de) il titolo, la poetica di Mariano è, si è fatta, si dimostra profondamente omogenea, oltre le (e ben vengano!) forme variegate e larghe modalità espressive, che spaziano tra: l’andamento narrativo del testo eponimo, i contrappunti coreutici, nello stesso e in Epifania, il diffuso dettato lineare, prevalentemente organizzato in distici liberi, il misurato e funzionale ricorso al lemma colto/letterario o desueto (fessata, arrosa, spumeggia, appecorarsi, affoglia, ruinata, azzampato ecc). Si noti bene, mai oscurante o usato per mera esibizione, già che il verso «sempre mi deprime l’inespresso» (Versicolite, p.68) mi pare possa essere inteso anche come dichiarazione di poetica. Poetica che, consolidata in decenni di mobile scrittura, ripropone almeno due dei topoi tipici di Mariano: il Monviso «che ci corre accanto», totem, cielo e anche un po’ gabbia, sfondo e centro, pietra, infanzia, passo. Uno dei testi, a mio modo di vedere, migliori, L’avanzo, riprende l’altro topos, che potrebbe apparire curioso nel contesto, l’automobile che questa volta si fa, nel suo pezzo avanzato e non ricollocabile - arcano da interrogare ogni giorno e metafora del libero arbitrio - simbolo del fallimento della aliena perfezione (?) di macchina, dell’ingegneria asfittica dell’ordine delle cose. Con il suo consueto dettato chiaro, che sa scostarsi dal semplicismo un verso dopo che lo si sospetta tale, con la leggerezza, l’ironia, la pensosità lampeggiante entrano nella raccolta tematiche alte (filosofico-teologiche, di una teologia negativa, dice Tesio nella nota introduttiva, ma «a tanto nichilismo ci opponiamo», precisa il poeta a p. 53) e sguardi, attenti, ripetuti e interrogativi (“una seconda vista sull’orizzonte della storia”, scrive Stefano Vitale sul IlGiornalaccio.net del 30.5.2018) sull’ultimo tempo in attraversamento: quello storico di un Occidente erede delle oscurità del secolo passato, luogo di persecutori e perseguitati, di città da lasciare per rifarsi camminanti di monti, di vanità ed egoismi (come da alcuni millenni, direi), di sfiducia, di idee sconfitte, di parole balbuzienti. Ma anche quello di un’età personale, di una «vecchiezza corsara» dove fatalmente gli sconfinamenti nella memoria si fanno più frequenti, ma mai vengono resi con dimessa nostalgia o patetismi: basti leggere (incipit: «Scusate l’irriverenza») il ricordo del padre in In falegnamesco (p. 61) o Il congedo (p. 106). Una freschezza compositiva che, pur conoscendo da tempo la scrittura poetica di Beppe Mariano, mi pare fin ravvivata in questo Attraversamenti. Mi spingo a dire: soprattutto dove gli attraversamenti, potenti e dominanti, si fanno sconfinamenti, leggeri e furtivi, ognuno dei quali in piccoli universi nei quali sostare un po’.
Alfredo Rienzi Giugno 2019 |
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