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al testo di Alfredo Rienzi
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Poeti (di Torino) in 10 righe - 18. Augusto BLOTTO
Augusto Blotto, è nato a Torino nel 1933 è forse il più prolifico poeta italiano, autore una sterminata serie di volumi di poesia: “59 volumi di cui 22 editi e 4 attualmente disponibili in rete” [http://www.augustoblotto.it] precisa la quarta di I mattini partivi. Poesie per un angolo di pianura 1951-2012, Nino Aragno Editore, 2013. Le biografie riferiscono dell’esordio con Magnanimità (1951), Schwarz 1958 e che tra il 1957 ed il 1968 pubblica con Rebellato 17 volumi di poesie. Dopo il citato I mattivi partivi, Blotto ha pubblicato ancora In Francia e Autunno, Ed. Coup d'Idée, 2015 e Veramente, quando, ADV Advertising Company, 2016.
La questione linguistica è talmente soverchiante, in tutta la fluviale produzione di Blotto, che è stata inevitabilmente posta al centro di quasi ogni esame critico della sua poetica che, estendendosi per oltre sessant’anni, s’imbatte nei residui tardo ermetici e nelle stagioni del neorealismo e della neoavanguardia, restando fedele alla primazia di un lavoro “ lessicale più che sintattico” - scrive motivatamente G. Tesio – teso, attraverso una straordinaria inventiva verbale, alla “costruzione di un linguaggio e dar voce a uno stile”. Nelle “migliaia di pagine [nelle quali] il poeta si inventa un suo linguaggio di demenziale protervia inventiva” (U. Eco) vengono compresse, ma non tacciono, altre questioni fondamentali, quali: la cifra visiva-visionaria dell’autore e la discussa oscurità del dettato.
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I mattini partivi quando ombra queta
maggio 1951, da Magnanimità, Schwarz, Milano 1958, in I mattini partivi, Nino Aragno Ed., 2013, pag. 6
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Ma il filtro che il crogiolo del silenzio aguglia in un “è vero!” esclamato in fibula di candela, tanto le soddisfazioni oltre‑paèsano, appone i testi – da mattone – del lago cui la fattura liquida non sceglie: appièna roselline di soggiorni in grembiali di cacao, ortènsia le ghiaie che spengano un senziorino d’odore quale la bretella d’una colazione sognante o che nessuno intercida più, frutta sucida del futuro, cui padigliona l’assenza del rumore, in uno scavalchino (l’attesa) (asola bianca)
E attorno generosi bastìdino il parlare, nello scottar tepore gota di “Stare!”, come sciami di afferenti: muretti, bestiole, da dio degli accenni udirli, di rumore, nel sole pavanante (un condurre...) sopra le serpicine, scricchiolo la gambina del fastello, morellato dal sole ch’è un torace riquadro di sughero e illuminato (velario come un telaio; il freddo)
Lugano Gandria, febbraio 1991 da Poesie Ticinesi, alla chiara fonte, 2012, pag. 15
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La sciabola gonfia di un rio che oscilli spine e fronde color ramarro, presso osterie cigolanti di portelli e rinomate codardamente per trippe e crinoline di fiori che, tigli, nei bicchieri uno se le ritrovi, non lontànano (anche proprio con lo psico, col nostro sudore intraveduto, l’imbuto d’arancio carne che sovente vogliamo vederci – di sbieco -) dagli sterri spaccati che una botola di fogna, anzi un tubo di cemento che sia stato parzialmente schiacciato da un autocarro gommoso, olivìgnano, del venticello grigione-sassifraga, o mormorio, che la periferia pòlvera di carpenteria, lume di strusciare
Muoversi nel colorato saporoso d’una mattina colombato da nuvole quasi da Senna che sia straripata - un pochino – ad Argenteuil, còrpora di particelle l’atmosfera primulea di enunciar vivande al cammino, ribordo di tovagl’angoli mattone e argento!
L’imminenza che ci sia tempo ancora, tanto, non nega il sorbir beoto tazza di chimera e spezie, quel fin-di-labbro che indaga la notte e la cerchia di mastice a onda di gromma, infuso di cometa conoscente la coppa del buio, quel d’orlo
E la ricostruzione di maneggiare rompicapo logistici, poveracci in verità, allenta e tende fettuccia delle membra destinate a portar vestito che in colloquio con la mente non la smette di camminare intanto un’idea di mondo se vuoi cominciare ad accontentarti (purché tu non disdegni i pezzetti che ti càpitano, servil imbattersi tra denti e piedi cioè) ……….. ……….. ………..
aprile 2012, da Ragioni, a piene mani, per l’”enfin!”, in I mattini partivi, cit, pag. 106
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