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al testo di Alfredo Rienzi
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Del regno degli alati e degli umani: una libera lettura di Corvi con la museruola, di Sergio Gallo (Lietocolle, 2017), divagazioni su poesia e scienza con testi di Giancarlo Baroni, Fabrizio Bregoli e Roberto Maggiani e traduzioni di quattro Corvi.
C’è una pagina che non c’è, in Corvi con la museruola, che sarebbe veramente straordinaria se ci fosse: in effetti c’è, ma come se fosse conscia della propria straordinarietà, si eclissa e si disperde. lasciando di sé solo la traccia. Si trova oltre l’estremo confine della numerazione delle pagine, ed è l’indice! Che riporta solo i titoli delle sei sezioni del volume. Lo ricostruisco qui, con la licenza delle parentesi di mia creazione, come a ritrarne gli oggetti su un cartellone illustrativo della flora o della fauna di un parco naturale. Mi limiterò, perché intendo semplicemente fornire un’esemplificazione, all’indice virtuale della seconda sezione, Animalie: Flamingo road (ovvero Del fenicottero), Il rospo e la natrice, L’argironeta, Il ritorno dei guardabuoi, Le urla del riccio, Massaciuccoli (Hic sunt tarabusi, folaghe, cormorani, martin e falchi pescatori e, giocoforza, qualche carpa a rappresentare il pescato), L’invasione (di una coccinella dai sette punti), Bombardamenti (di scoiattoli rossi), Chiocciole, Ardea cinerea, Lepisma saccarina, Salamandra lanzai, Le capre del Mèris, L’uccello dalle ali di farfalla (cioè il picchio muraiolo, l’eletto tra gli altri diciassetti alati considerati), Turdus merula, Solo un piccolo codirosso, Passerotti suicidi. Per ultimo: Corvi con la museruola. Credo basti e avanzi questo giocoso indice per cominciare a tracciare un invece serio percorso di esplorazione dell’ultimo lavoro di Sergio Gallo, poeta saviglianese, autore che ha già varcato il quarto di secolo di testimonianza poetica, da Pensieri d’amore e di disastro, 1991, fino a Pharmakon edito da Puntoacapo nel 2014. Ma se si volesse proseguire lo stesso divertissemant per le altre Sezioni, sarebbe confermato al di là di ogni superfluo commento la caratteristica principale del poeta, prima ancora che della sua poesia: una vigilissima attenzione e una voracità di sguardo inesausta. Che poi, in questa raccolta, e in parte significativa nelle due precedenti (Canti dell’amore perduto, poderosa raccolta del 2010 e, la già citata, Pharmakon) l’occhio viaggi nei Tre Regni pre-umani della Natura, non sposta questa attitudine all’esplorazione e al viaggio: «attraverso la varie fasi della vita, nella natura, nell’umana sofferenza, alla ricerca di sé, nel silenzio e nella parola, nel microscopico mondo cellulare» ecc, secondo la personale geografia cartografata dallo stesso Autore nella Nota confidenziale, in Canti dell’amore perduto (p. 237) e finanche tra visibile e invisibile, come evidenzia Alessandra Paganardi nella Prefazione, ispirandosi, per l’occasione, al testo-sezione Lo spettro di Broken. Concordo perfettamente con la stessa prefatrice, quando sintetizza ottimamente che: «Come i libri precedenti […] Corvi con la museruola non è “soltanto” una raccolta di poesie. È un’enciclopedia, un trattato filosofico, un diario di viaggio». Sull’asse primariamente visivo, s’inscena, dunque, un catalogo che non è arida tassonomia, ma ricettario del mondo, vista del mondo, ed anche pronuncia delle leggi note e ignote che lo costituiscono e lo governano, dell’intreccio infinitamente complesso tra uomo e natura. Tutto questo avviene grazie ad un’operazione a cui Sergio Gallo sta lavorando da tempo, apportando tecnicamente (ovvero lessicalemnte) un pregevole contributo al non certo nuovo o raro rincorrersi interrogativo, di poesia e natura, celeste («Che fai tu, luna, in ciel?») e terrestre (dalle celebri Correspondances baudelairiane) o al più episodico intreccio di poesia e scienza o tecnologia. Parlo di ciò che Alessandra Paganardi chiama «la scelta apparentemente bizzarra di scrivere versi in linguaggio tecnico».
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Qui si aprirebbe un discorso potenzialmente esteso, che, non nego, mi è stato, in certe fasi della mia scrittura molto a cuore e che tutt’ora reputo di estremo interesse e su cui apro un necessariamente breve inciso. Chiaramente andrebbero fatti dei distinguo sulla diversificazione dei metalinguaggi: una cosa è, sulle orme di Linneo, avventurarsi tra generi, famiglie e specie animali latinizzate, un’altra è attingere a quanto, innominato, in quanto “inesistente” ha preteso nominazione all’atto della sua comparsa agli orizzonti delle nuove scienze, tra bosoni, buchi neri e magnetosfere. Ma ci porterebbe troppo lontano. La curvatura gravitazionale del linguaggio a nuove e vecchie, ma ai margini letterari, scienze/tecnologie è certo poco osservata e viene elusa, ma non del tutto. Ha di certo un’inevitabile ricaduta lessicale anche lo scenario del Realismo terminale, pervicacemente proposto da Guido Oldani ma senza alcuno smarginamento matalinguistico, perché gli oggetti “terminali” sono ormai impiantati ben saldamente nella lingua corrente (petroliere, betoniere, lavatrici, camion). Ma, a parte questo minimo tributo lessicale ad una tecnologia addomesticata, GuidoOldani va in senso opposto a quello di Sergio Gallo e del suo padre ideale Pier Luigi Bacchini (il maggior poeta indagatore del mondo naturale, non a caso di formazione scientifica, come Gallo) quando dice, evidentemente sbagliandosi, almeno in questo caso: «La natura è stata messa ai margini, inghiottita e addomesticata. Nessuna azione ne prevede più l’esistenza […] Gli oggetti occupano tutto lo spazio abitabile» (Manifesto breve del realismo terminale). Colgo invece, oltre alla esemplare ricerca e riflessione di Sergio Gallo, segni tra i poeti contemporaneissimi, che questo problema del rapporto tra linguaggio (e pensiero) umanisitico e scientifico si sta ponendo con insistenza.
Particolarmente interessante in tal senso sono il pensiero e l’opera di Roberto Maggiani, classe 1968, Fisico Nucleare e divulgatore scientifico che si occupa in particolare del rapporto tra scienza e poesia e che ha dedicato un interessante saggio alla questione Poesia e scienza: una relazione necessaria?, CFR, 2011. Commentato su Poesia 2.0 (sic!), da Maurizio Soldini (altro medico, ma di parola nitida e classica) Maggiani argomenta come «non solo che la liason tra poesia e scienza sia necessaria, ma ancor più che è indifferibile ed ineludibile», fino alla «poetizzare la scienza», Coerentemente, nella sua già ampia produzione poetica, Maggiani attinge con frequenza ad espressioni del linguaggio scientifico («universo metastabile», «risonanze elettromagnetiche»). Questo brano sembra fungere da personale manifesto:
Il rapporto tra poesia e scienza,
[…] Dove appoggi il tuo piede la sua forma crea labirinti e pozzi imperfetti e amari dove i poeti cadono spersi, ma non io che non sono poeta ma scienziato e ti parlo per tua gioia di quel mondo così piccolo o così lontano – di atomi o stelle.
(da Scienza aleatoria, Lietocolle, 2010)
Un altro giovane e talentuoso poeta di formazione scientifica che ha recentemente contribuito ad irrorare il linguaggio poetico con apporti plurilinguistici, senza perdere un atomo di letterarietà (sostenuta anche da un maturo endecasillabo) e di potenza comunicativa è Fabrizio Bregoli, ingegnere elettronico lombardo del 1972. La sua opera prima, Il senso della neve (puntoacapo, 2015, prefatto da Ivan Fedeli e con postfazione di Tomaso Kemeny) è un esempio di «compenetrazione di termini tecnici […], o della tradizione, di neologismi impreziositi dalle forti cesure», dove viene adattato «il plurilinguismo a un qualsivoglia dettato comunicativo» (I. Fedeli). Una breve sezione, Compendio di fisica applicata, o forse un solo testo o anche solo qualche verso, dicono sull’uso del linguaggio naturale-scientifico in poesia, ben più di quanto io abbia finora detto in questo scritto:
Complementi di fisica
Si sdipanasse in uno scioglilingua l’appallottolata mappa del cosmo - elettromagnetismo gravità interazione forte forza debole - si stanerebbe forse la ricerca del cocktail squinternato che ci inebria l’equilibrismo cronico del vivere fra sponde contrapposte, sabbie mobili. Quella corrente insana sotto pelle di stimoli indizioni potenziali che ci rabbrividisce di sorpresa, unita all’ancoraggio insopprimibile dell’attrazione antica per la terra il suo farsi sostanza, esser radice alla levitazione del pensiero, imbrigliarlo al reticolo del cuore avvilupparlo stretto, con tenacia a quel sedimentato vecchio amore e rianimarlo, non gettarlo a mare, sorreggersi al precario delle gambe a volubilità di cartilagini all’innata debolezza delle ossa, il loro sfarinarsi, svaporare è il nucleo d’unità che ci affratella, sintesi spiccia di quest’azzardata teoria del campo unificato.
Genesi
Mulina attesa nel laboratorio l’energia del fascio d’ha d’accrescere a disgregare scindere collidere sempre più minuti più esili più più pargoli tasselli d’elementari e più primordiali esotici pulviscoli in più sottili opalescenti lamine esponenziale vertice del nulla.
Gluoni bosoni neutrini tachioni barioni fermioni quark ora pro nobis. Neutrino muonico protone barionico leptone elettronico miserere nobis.
Così l’ottavo giorno l’uomo scomodò Dio in surroga d’incrollabile scienza.
Amen.
Un’altra scrittura che usa come strumenti precipui l’occhio che reperta e la penna che registra è quella di Giancarlo Baroni, parmense, almeno nelle sue ultimi due opere edite: il pregevole Le anime di Marco Polo (Book Editore, 2015) e I merli del giardino di San Paolo e altri uccelli, edito da Mobydick nel 2009 e ripubblicato nel 2016. Infatti, sia che volga la sua attenzione alla Storia (luoghi, vicende e soprattutto viaggi e viaggiatori), sia alla Natura (nella sua rappresentanza alata e pennuta) lo scandaglio di Baroni esplora territori non privilegiati dalla scrittura poetica e, quel che qui più interessa, lo fa redigendo repertori inclusivi e attingendo a famiglie di res e nomina inconsueti, per erigere i pilastri delle raccolte. Nel nucleo eponimo Federico II e i merli del giardino di San Paolo, i due territori, storico e ornitologico, coesistono e i linguaggi in osmosi delineano tutta la peculiarità di questo volume. Il fatto che l’opera,già edita nel 2009 sia stata riproposta e ampliata nel 2016, e accolta con buon interesse dalla critica, può testimoniare il bisogno di nutrimento della poesia attuale con lieviti e sostanze da ampi settori o almeno il beneficio che da questi apporti ne riceve il linguaggio. Ottime puntualizzazioni sulla «modalità di fare poesia», «giocata su un codice sostanzialmente denotativa», che mi sento di poter estendere anche a Le anime di Marco Polo, sono contenute nella Prefazione alla Seconda parte di Fabrizio Azzali: «La cifra realistica, a tratti scientifica […] proprio per il suo carattere “fisiologico”, nomenclatore, quasi lenticolare con cui vengono esibiti e studiati i più comuni attori della scena, raggiunge un effetto di straniamento […] e ci porta in una dimensione iperrealistica, diremmo di metafisica immanente». (Quanto di questa considerazione è esportabile anche a I corvi… di Sergio Gallo? Molto, a mio modo di vedere lo è spirito delle opere, ferme restando le differenze di stile e tono il diverso peso delle molecole di morale, raggrumate in Gallo e più aeree in Baroni.) Anche in questa operazione aviaria ideale Nume tutelare è Pier Luigi Bacchini, che non a caso porge la sua delicata Prefazione all’edizione del 2009, dove rileva, tra l’altro, come tutta la «precisione ornitologia» utilizzata da Baroni non sia fine a se stessa e come l’osservazione del poeta prediliga un tono di distaccata ironia. Non potendo, per brevità, soffermarmi sulle tante caratteristiche dei pennuti e, soprattutto, su quelle dello sguardo del poeta, mi limiterò a un'altra elencazione, didascalicamente utile. Così troviamo che (quando non in gabbia) transitano e vociano (tra ippocastani, querce, faggi, castagni, pioppi, cespugli d’erba selvatica e di sambuco ecc) passeri, fringuelli e pettirossi, gazze e cornacchie, merli e merli, storni, colombi e pavoni, quaglie, tacchini e fagiani, rondini e rondoni, anatre e morette, falchi pecchiaioli e pescatori, allocchi e civette, aironi, tarabusini e ibis, avocette e chiurli, beccaccini, pinguini, colibrì e altre livree senza nome, descritte o raffigurate nelle illustrazioni di Vania Bellosi e Alberto Zannoni (sì, c’è anche una montaliana upupa). Spesso si descrivono comportamenti o caratteristiche dei sottintesi attori pennuti i quali, non di rado, si trasfigurano, a specchio, negli umani che osservano e che li stanno osservando.
(Merli)
La melanina che scurisce il corpo e ci rende simili a fantasmi fa paura all’allocco. Allora gonfiamo il petto gli gridiamo te l’abbiamo fatta un’altra volta, gioiamo ma piano come avessimo in gola dell’ovatta.
Airone […] * Da predatore a preda il passo è breve basta solo una svista. La mossa del nemico che ti spiazza impàri e la fai tua.
Da quassù […] * Dicono discendiamo da un dinosauro immenso ma i suoi figli risultano piatti più della terra a noi che li osserviamo oggi dal cielo.
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Ma torniamo a Corvi con la museruola, perché, detto dello spirito enciclopedico e dell’operazione linguistica, altri aspetti meritano di essere notati. La raccolta è composta da sei Sezioni: Dendrologie (ovvero “discorso sugli alberi”), Animalie, di cui si è già detto, Il bruco e la formica, altro corposo repertorio zoologico ed entomologico. Seguono tre sillogi più brevi: L’abisso e la sapienza, dove l’autore si fa viaggiatore ed esploratore alpino, Lo spettro di Broken, dedicata al fenomeno di illusione ottica ben noto ai frequentatori di quelle realtà tra magia (prima) e (ora) scienza; l’ultima sezione Antropocene, più composita, compendia molti degli elementi dell’intera raccolta, ed estende l’attenzione al Quarto Regno e alla condizione umana nella sua forse breve avventura, tra prime selci e «rischio d’estinzione», avventura della quale «resterà/ solo/ la poesia», verso che chiude il volume e che pare riconoscere sia la soggettiva necessità dell’Autore, sia il potere al tempo stesso demiurgico e testimoniale della parola. Mi pare una questione significativa il fatto che il poeta compia questo suo personale viaggio nei Quattro Regni, nella loro remotissima origine utilizzando un estensione lessicale spinta fino al tecnicismo scientifico contemporaneo, ma incida epigrafi alle sezioni di ispirazione classica e sapienziale. Così vengono citati Aristofane (da Gli uccelli) e Seneca, brani Vedantici o Buddisti, Sure coraniche (XXVII, Le formiche), il Siracide e il poema persiano di Farīd Ad-Dīn ‘Attār, Il verbo degli uccelli, quello del Simurgh, per capirci (a cui Robero Mussapi ha dedicato bei versi e il titolo della sua ultima raccolta La piuma del Simorgh, il «grande uccello/ che fece nascere la vita nel mondo/ e il regno degli alati e degli umani/ con una remigante dell’ala sinistra», p. 9). Si potrebbe leggere in questa trama l’esplicito pensiero o la criptica coscienza che la nostra umana osservazione transeunte può aggiungere una goccia all’oceano delle ere e del divenire, ma che questa immensità ci precede e ci seguirà. Un respiro macrocosmico e un microcosmo popolato di ragni e ammoniti!
La primazia del contenuto non induca, però, a trascurare gli aspetti stilistico-formali dell’ultimo Sergio Gallo. Mi soffermerò solo su un paio di questi (ché altri saranno immediatamente evidenti nei testi che seguiranno, come l’uso di un verso libero con prevalente bassa tonalità musicale, più narrativo che lirico, o la ricorrenza in chiusura di componimento di asserzioni gnomiche di valenza morale). Il primo è l’uso talora ellittico della proposizione, arginata da una severa punteggiatura, dove il verbo è a volte assente o riecheggiato da strofe adiacenti o può essere reso all’infinito: «Appollaiati su pali/ al centro della laguna/ o dispersi sui rami/ d’un grosso albero morto.», p. 47 «Seguire le orme/ lasciate nella polvere/ da una coccinella/ dai sette punti», p. 48
Va ancora notato come l’arco lessicale sia sobrio e opportunamente calibrato per poter accogliere, senza frizioni e stridori la terminologia di settore, che già pretende attenzione, e come l’Autore solo in rari casi ceda alla tentazione di un’aggettivazione superflua, così che nell’ampiezza della raccolta i testi si mostrano asciutti e governati e mantengono molte delle suggestioni che la narrazione promette. Beppe Mariano, a ragione, sottolinea l’«accresciuta compattezza formale» di quest’ultima raccolta e come fortunatamente alla «precisione scientifica» si accompagni l’«emozione poetica». (Il Saviglianese, 11.3.2017) Alcuni testi, isolatamente, si fanno particolarmente apprezzare per inventiva, originalità e sensibilità, ma è l’insieme dell’opera – a questo punto direi delle opere, coinvolgendo le precedenti – che merita attenzioni. In questo tempo di dispersione stilistica e disseminazione di poetiche, prendo atto che quella di Sergio Gallo è messaggera di fondamentali istanze. Alfredo Rienzi, aprile 2017
Poesie tratte da Corvi con la museruola (“Crows with the muzzle on”) Traduzione di Dario Rivarossa (il Tassista Marino website).
Da Pinus cembra(nel millenario bosco dell'Alevè)
2. È il cirmolo all’apparenza ombroso e impenetrabile, in realtà un savio dall’indole mite, dall’esperienza secolare. Capace di opporre resistenza a persistenti siccità, a venti siberiani, piegare i rami
sotto il peso di forti nevicate. Un re dal taumaturgico potere, il cui legno assai ricercato al contempo docile e compatto non conosce corruzione di tarlo. Ancestrale sciamanico contatto di prezioso effluvio balsamico…
Squame di corteccia resinosa adagiate sul palmo, tra le dita il rosario di verde-azzurri aghi raccolti in fascetti di cinque; sotto i polpastrelli i noduli dei germogli ancora silenti nella quiescenza invernale.
Formidabili radici s’innervano nelle profondità del terreno al suolo saldamente ancorate; bramose di sostanze minerali, di nuove sorprendenti simbiosi. Barbe di licheni ricoprono i rami, indice di buona salute.
Pinus cembra
2. […] A Swiss stone pine appears shadowy and inscrutable, actually a sage whose nature is meek, experience age-long. Able to offer resistance to persistent droughts, Siberian winds, to bend its branches
under the weight of snow. A king with a healing power, whose wood––in great demand–– easily worked however solid can ignore the wormʼs decay. Ancestral shamanistic contact with a rare balmy exhalation…
Scales of resinous rind lying on your palm, on your fingers the rosary of blue-green needles in little bundles of five; under your fingertips the nodules of shoots still silent in their quiescence of winter.
Tremendous roots innerved down in the terrainʼs depths, strongly anchored to the soil, they long for minerals for new surprising symbioses. Branches covered by lichen barbs, a sign of good health.
Flamingo road
Tutto mi sarei aspettato quella tersa mattina di marzo in via Cappuccini a Milano che in un sontuoso giardino tra esplosioni di magnolie sorprendere immobili un gruppo di fenicotteri intenti a sonnecchiare.
Il dominante trampoliere fulmineo capace d’estendere il lungo e sproporzionato collo per emettere dal becco curvo grottesco e possente uno stridente grido di protesta come di tromba maldestra al molesto passaggio d’un aereo.
L’intero stormo tra cacofonie ridestarsi ma invece di prendere il volo verso ancestrali rotte migratorie, elegantemente ripiegare il collo sulla nuvola rosa delle piume e, celando la testa sotto le ali color cremisi, armoniosamente
riprendere a dormire. Così altrettanti avvezzi alla cattività vivono incapaci di spiegare le ali.
Flamingo Road
Anything I expected in that clear March morning in Capuchins Street, Milan, rather than, in a luxurious garden among magnolia explosions, catching a motionless flock of flamingos devoting themselves to dozing:
the imposing stilt-bird capable of suddenly stretching its long, disproportionate neck to utter, out of its curved, grotesque, powerful beak, a shrill cry of protest as with a clumsy trumpet against one annoying airplane.
Lo! the whole flock cacophonically wakes up, but, instead of taking off towards ancestral migratory routes, they elegantly fold their necks on the rosy cloud of their feathers and, hiding their heads under their crimson wings, harmoniously
go back to bye-byes. As many as them, accustomed to captivity, live unable to spread their wings.
Lepisma saccharina
È in quel tuo apparire effimero veloce lampo argenteo di notturna creatura che esposta all'improvvisa luce fugge in cerca di riparo
o nell'argentea tua traccia di sottili scaglie metalliche lasciate sulle dita di chi invano tenta di catturarti;
nel continuo inanellare di mute che accompagnano da neanide diafana a sfuggente imago l'intera tua esistenza fragile
l'essenza dell'essere lepisma.
Quello stesso spirito che sin dal tardo Siluriano animava i tuoi illustri antenati, tra i primi insetti a colonizzare la terraferma.
Con cosa banchetterai oggi zigzagando tra i detriti: farina, forfora o francobolli? Scaglie di pelle, fibre d'arazzi rilegature di libri polverosi?
Avrai per dessert colla a strati, inusitati carboidrati o la tua stessa dismessa esuvia?
È in quella strana danza d'amore per attirare le femmine fino al sericeo bozzolo di sperma, la tua vita oltre la vita, la tua vita oltre la morte.
Fuggendo ragni, millepiedi, forficule a differenza d'estinte lucciole, cervi volanti, sempre più rari lepidotteri... tu sì che ci sopravviverai, insieme forse a qualche robusto ratto delle cloache.
Silverfish
In appearing ephemeral swift silvery flash of a daughter of night who suddenly enlightened flees for a shelter
or in that silver strip of thin metallic scales left on the fingers that tried to catch you, in vain;
in that chain of moults that - from diaphanous neanis to shifty imago - accompany the whole of your frail life
is the essence of silverfishness:
the very same spirit that from late Silurian animated your great ancestors, insects among the first who colonized dry land.
What about your banquet today zigzagging among debris: flour, dandruff, post stamps? Skin scales, tapestry fibres, the binding of dusty books?
And, your dessert? Layer glue or, just for a change, carbohydrates or your own cast-off exuviae?
In that strange love dance to attract females towards your silky sperm cocoon lies your life beyond life your life beyond death.
By escaping spiders earwigs millipedes - unlike extinguished fireflies, stag-beetles, rarer and rarer butterflies - you will survive us, perhaps together with a bunch of brawny sewer rats.
Gli amanti di Valdaro
Vi è un segreto tra gli amanti che non è possibile spiegare. Né la penna né le parole lo hanno raccontato alle creature As-Sulamî da Introduzione al Sufismo
Stimmi di zafferano color sangue di bue rosso oro dall’odor di miele che solo delicate esperte mani all’alba sanno raccogliere e finemente lavorare…
Così di rubino le imenee strie miste a rugiada di sudore tra i corpi albini parevano brillare e sugli acerbi organi sessuali. Lei dolce gli sorrise ai primi raggi di luce, la nuca carezzandogli.
Così mi piace immaginarli e nel museo di Mantova i loro scheletri politi ancora poter ammirare: da seimila anni giacciono teneramente aggomitolati.
La zolla che li accoglie al contempo è alcova e neolitica tomba. Sepolti nella necropoli uno di fronte all’altra
le gambe intrecciate e raccolte in posizione fetale; le mani di lei sulle di lui spalle, quelle di lui sul collo di lei in un abbraccio eterno e mortale.
Mistero su cosa li abbia uccisi se freddo, fame, malattia o una morte volontaria per astio, atto sacrificale dissidi tra clan rivali, parole sprezzanti come punte di silice.
Primevi Romeo e Giulietta in un’epoca negletta, avida di simboli d’amore per noi vigliacchi e sensibili ora riportati alla luce.
The Valdaro Lovers
Saffron stigmas ox-blood-colored red gold, smelling honey, that only skilled gentle hands can gather at daybreak and work delicately…
So the ruby hymen stripes mixed with a sweat dew between their albino bodies seemed to shine––on their immature sex organs. She sweetly smiled to him in the first light rays while caressing his nape.
This way envisaging them, in that Mantuan museum their polished skeletons I still succeed in observing, for six thousand years lying tenderly curled up.
The clump containing both is the alcove and at the same time the Neolithic tomb. In the necropolis buried in front of each other
their legs intertwined folded in fetal position, her hands resting on his shoulders his hands on her neck for an eternal death embrace.
A riddle, what killed them whether cold, hunger, illness or a voluntary death out of hate, a sacrificial action, wars between clans, words as sharp as the flint points.
Primordial Romeo and Juliet of a forgotten era longing for love symbols, for us cowardly and sensible brought back to light.
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