LaRecherche.it
Scrivi un commento
al testo di Amina Narimi
|
||||||||
Viene dall’invisibile incarnando la presenza delle voci ogni volta che accendo il fuoco a sera affonda il verbo nella legna con la saliva, da buio a buio, mostrando lo spacco del sacro -la ferita, il nome- delle rose nei miei fiori, sono la nostra anima là dentro, nel camino acceso in cui abita qualcosa, perché cresca la luce. Piegando le ginocchia mi accuccio dove viene il rosso con la veste arrotolata fino al timo scoprendo la macchia azzurra sul mio fianco scintilla nuda e disarmata -immutabile simurgh-
Con un piede dopo l’altro ascolto la corteccia da bruciare le piste dei sogni attraverso gli anni le pulsazioni di ogni tronco - ognuno canta per anelli cigolando sotto i miei talloni- sotto le piante sento gli uccelli volati via dai rami le foglie rimaste sole nel rettangolo vuoto del giardino. Mi tramando, credendomi un albero, Prego, senza una parola, sono la stessa cosa. Nella pancia i legni sono pronti per rinascere dal fuoco mi alzo scalza con tutto il corpo, la riconciliazione nelle mani, una per una. Odoriamo di pace come quel giorno, nella sala di commiato, non separandoti mai da me stessa
Con una lingua tenera in un bianco leggerissimo di cenere il nostro esserci è un segreto ognuna canta nel pensiero |
|