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al testo di Amina Narimi
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Nella tua dura luce strati di terra più concreta e necessaria nell’intimo si piegano, ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno che racconta la ballata, il largo con le labbra degli occhi- del desiderio di contatto di un sorriso universale con il mondo creato delle acque- più elementari, è uno sguardo all’uscita di casa, tra gli alberi e le ombre, un inchino
Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo- senza mandare un brivido a sollevarmi i capelli- tutto all’altezza della parola supplente, quasi, fino in fondo finchè, amore, non ci separi una piramide di fango
Se avessi tolto prima la cornice ti sarebbe apparso il perimetro alla tela con il colore originale dello sfondo, il rosso carminio, del carapace della cocciniglia, dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto, lo splendore della vista attraverso le comete di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora come una campagna che tutti abbiamo percorso, una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi con lui, nello spazio breve del giardino che genera l’incontro, tra la visione e il cuore, giustificando il transito: l’adagiarsi della luce piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,
scolpito nel tempo di un riverbero è una vertigine infinita la calma coscienziosa sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello che verrà, dopo l'arrivo alle nostre mani, strette umane l’una con l’altra a dondolare, annunciando l’inesprimibile, come in sogno nei carmi figurati, ricreando geroglifici le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto
mi chiedi di morire quel che c’è? Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto come enigma, e le radici a nudo, alla fine del corpo, non meno della mente o della musica della storia personale dolorante. L’emozione dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti, nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso, sulla veste impudica, i movimenti della mano; con un gesto unico, la mia montagna che cammina vuoi. Immagine e scrittura sembrano chiudere lo spazio ostacolare il balzo avanti dello sguardo
è viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve, che si apre accogliente sull’immenso andare, come apocrifo e segreto resterai, celando il vero volto, semplice ombra di molteplici tu che viaggiano in sogno cercando il segreto in un’altra vita.
Strati di silenzio inalienabili e nudi mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli. Con l’addome magro sul volume di preghiere non prometto di non immaginare che siamo corpi esposti a un Dio, fragili fortezze, nella pace giusta della gioia, che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi ognuno ci sognerà, con qualche gesto da ricordare:
sapremo l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome, di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare con l’arrivo del nero, si colma a disegni, formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete
Senza più lingua né voce, è il nostro sonno, dalle mani alla carta. senza le braccia, riprendo a camminare, sorridendo, come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle, l’abbozzo di un’ala che cresce, piano, pianissimo, per volare ancora nei sogni.
Henri Michaux, Emerging Figures - The National Museum of Modern Art Tokyo - 2007. |
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