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Come il Nuctes di Michaux

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Nella tua dura luce strati di terra

più concreta e necessaria

nell’intimo si piegano,

ma il poema batte ovunque l’aria, e il sogno

che racconta  la ballata, il largo con le labbra

degli occhi- del desiderio di contatto

di un sorriso universale  con il mondo

creato delle acque-  più elementari,

è uno sguardo all’uscita di casa,

tra  gli alberi  e le ombre, un inchino

 

Nel chiuso dei pensieri sei rimasto, e solo-

senza mandare un brivido

a sollevarmi i capelli-

tutto all’altezza della parola

supplente, quasi, fino in fondo

finchè, amore, non ci separi

una piramide di fango

 

Se avessi tolto prima  la cornice

ti sarebbe apparso il perimetro alla tela

con il colore originale dello sfondo,

il rosso carminio, del carapace della cocciniglia,

dove tutto si trasforma e viene fuori, nel ritratto,

lo splendore della vista attraverso le comete

di ceneri, silenzi e fioriture, la chioma che innamora

come una campagna che tutti abbiamo percorso,

una stradina nel verde dove s’infila il vento, e noi

con lui, nello spazio breve del giardino

che genera l’incontro, tra la visione e il cuore,

giustificando il transito: l’adagiarsi della luce

piano, quando viene sera. Nel lembo estremo,

 

scolpito nel tempo di un riverbero

è una vertigine infinita la calma coscienziosa

sull’ottuplice sentiero. Amici, è tutto quello

che verrà, dopo l'arrivo alle nostre mani,

strette umane l’una con l’altra a dondolare,

annunciando l’inesprimibile, come in sogno

nei carmi figurati, ricreando geroglifici

le nostre tracce, lasciate nella notte/ dappertutto

 

mi chiedi di morire quel che c’è?

Il viaggio da luogo a luogo, l’intreccio, come

delle voci, i rimandi, le scoperte, gli accostamenti

all’amore, alle mie pareti, le praterie, il tuo volto

come enigma,  e le radici a nudo, alla fine del corpo,

non meno della mente o della musica

della storia personale dolorante. L’emozione

dei nostri silenzi, sulle pupille d’alabastro, e la danza

ininterrotta, dal divano blu, ai pianeti fluorescenti,

nella stanza dei tesori, il colore biologico del rosso,

sulla veste impudica, i movimenti della mano;

con un gesto unico, la mia montagna che cammina

vuoi.  Immagine e scrittura

sembrano chiudere lo spazio

ostacolare il balzo avanti dello sguardo

 

è  viaggio nell’aria, il mio, tacita e lieve,

che si apre accogliente sull’immenso andare,

come apocrifo e segreto resterai,

celando il vero volto, semplice ombra

di molteplici tu che viaggiano in sogno

cercando il segreto in un’altra vita.

 

Strati di silenzio inalienabili e nudi

mi proteggono, come alla nascita, muti gemelli.

Con l’addome magro sul volume di preghiere

non prometto di non immaginare

che siamo corpi esposti a un Dio,

fragili fortezze, nella pace giusta della gioia,

che abbiamo vissuto. Riassorbiti dall’acqua

i versi. Se ci addormentiamo fuori dai corpi 

ognuno ci sognerà,

con qualche gesto da ricordare:

 

sapremo  l’uno dell’altro, restituendo l’antica bellezza

di un Amen. Sul mio quaderno poso il tuo nome,

di un bianco lucente fino a perdere i sensi, e scompare

con l’arrivo del nero, si colma a disegni,

formando una rete i trattini, il ritorno alla quiete

 

Senza più lingua né voce, è il nostro sonno,

dalle mani alla carta. senza le braccia,

riprendo a camminare, sorridendo,

come il Nuctes di Michaux, sotto le spalle,

l’abbozzo di un’ala che cresce,

piano, pianissimo,

per volare ancora nei sogni.

 

 

 Henri Michaux, Emerging Figures -

The National Museum of Modern Art

               Tokyo - 2007.

 Amina Narimi - 11/06/2014 23:55:00 [ leggi altri commenti di Amina Narimi » ]

Grazie Chanteloup grazie di cuore, sei Acquabuona e generosa insieme

 Amina Narimi - 11/06/2014 23:51:00 [ leggi altri commenti di Amina Narimi » ]

FerdiNando una passione per quel Michaux, il suo esprimersi con segni non alfabetici, e con la facilità di una seconda natura il cercare un nuovo linguaggio; mi colpi in particolare l’episodio narrato in Un barbare en Asie, quando lui, il barbarico dentro un bar, di fronte ad una ragazza giapponese che domandava da dove venisse rimase ammutolito non sapendo la lingua e lei cominciò a disegnare come farebbe un bambino senza memoria o giudizi, rivolgendogli le stesse domande attraverso i segni, tendendogli poi la matita affinché rispondesse con linee, tratti _universali, una lingua visiva accessibile a tutti
come per i bambini cinesi un asse di legno per terra diventa convenuto sia un battello una più piccola un ponte, una passerella

come inviare oggi ad un amico l’ombra del vento fra i rami per fare una carezza..semplice, riconoscibile, il segno è lì, evidente a renderci felici come bimbi che disegnano i loro primi quattro esili fili per dire corpo, il tentativo più giovane e antico del mondo. Anche oggi inviare ad un amico l’ombra del vento fra i rami per fare una carezza è reinventare un segno e insieme il movimento delle cose, non il loro peso, l’essenziale di un momento anche lungo come trascorrere giorni e giorni sulla montagna e poi dipingerla con tre soli segni di pennello per un dono, il movimento Vitale, l’appena del respiro, senza premeditazione; c’è un volume intitolato Mouvements con sessantaquattro pagine illustrate e poesie che li commentano, li chiama " segni per ritrovare il dono delle lingue", ecco così per il suo interesse a quei bambini mi sono avvicinata ai segni Michaux, infine ai suoi Nuctes...e gli altri amati nelle grotte.. M. Blanchot, Renè Char, Bataille e poi Villa e De Stael..sulle tracce degli animali, dei segni nelle grotte da Lascaux che amo, e Chauvet, fino a Zuccarino e Giuliano Scabia nel poeta-albero e giù alle grotte dei miei alberi dove vivono i bambini..senza paura a dormirci dentro, ed uscirne con quei segni di meraviglia sulle ginocchia tra le mani e i fianchi verdi,
nel condividerli crescono sempre le ali..


Adielle_cosmico mi hai donato le parole più belle perché ne sento il respiro, la grazia che poni nelle mie mani che ti stringono a volerti bene


Loè..non avremo le colture di mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliegie, albicocche, susine, meloni, pomodori, zucchine, soia, girasole e colza né erba medica né trifoglio, finiranno i pascoli e le onde di smeraldo

non faremo più all’amore per i fiori
in cinque anni..costruiremo un’arnia di Noè, vieni?

 Chanteloup - 11/06/2014 23:40:00 [ leggi altri commenti di Chanteloup » ]

Elegante, ogni verso di questa poesia è superbo. Ogni volta che ti leggo
resto colpita e incantata dal tuo fare poesia.

 Lorenzo Mullon - 11/06/2014 10:33:00 [ leggi altri commenti di Lorenzo Mullon » ]

finché si ricavava il rosso dalle cocciniglie, la Natura non era comoda ma uno spazio per noi c’era
adesso che tutto è artificiale e comodo, spariscono gli insetti, in Cina le api del tutto
la scienza, che ha cercato di toglierci la paura, sta producendo il terrore più profondo
un brindisi ad Einstein e alla sua profezia!
(spariscono le api sparisce il genere umano)

 Adielle - 11/06/2014 09:15:00 [ leggi altri commenti di Adielle » ]

Se ne fossi capace commenterei con una dichiarazione d’amore, ma proprio come un innamorato, insicuro di fronte a tanta bellezza, balbetto mi sudano le mani e non trovo le parole.

 Ferdinando Battaglia - 11/06/2014 07:52:00 [ leggi altri commenti di Ferdinando Battaglia » ]

Rimango sempre a bocca aperta - e non penso come il villico ingenuo di fronte al gioco di prestigio che un sedicente mago adopera in chiave prodigiosa -; di Amina conosciamo la stima meritata, le sue autentiche profondità, la raffinata, ma custodita quasi nel segreto - erudizione. Ed è per tutto ciò che ancora una volta mi sono stupito ed ho imparato qualcosa in più, che non sapevo. Molto interessante questo autore cui la poeta si rilferisce nel titolo.
La poesia chiede altre letture, troppo ricca per capirla immediatamente (per me è così). Resta un brivido fugace pensando al tu del solo, chiuso nel pensiero, che non sfiora d’emozione nemmeno un capello di colei che di lui ha uno sfiorito ricordo.O così mi è parso.

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