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al testo di Amina Narimi
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La voce si trattiene, nell'aria piccola, tra due frassini bianchi, all’imbocco del vialetto - discreti e a malapena ci si accorge che esistono per come lasciano passare la luce che li investe. Le spalle coperte dal vento dietro di me ad unirsi un poco, e grande lo spazio creato dai rami, tesse il nostro anello come un’oecophylla nell’alzarsi, e inginocchiarsi tra le foglie, accostando tra di loro i lembi, con una goccia di seta sulla fronte che tiene insieme i nidi tra le cose, dandogli sollievo in un rosa pallidissimo, carne nascosta nel nulla delle pieghe labiali, lasciando al centro un altro mistero, dove finisce la bordura. Verso un pascolo incolto, oltre gli alberi-lupo, solo un alito resta, dai granai alle clavicole, come fossi contenuta in una invisibile tazza da tè, -o un grappolo d’uva con una mente d’inverno- mentre l’odore si espande dalle sue profondità, come nubi sfiorate lievemente dalle messi, quando si aprono a coppa- tra il pane di radici dell’albero e la sua noce d’oro incidendo i nostri segreti sulle minuscole tavole dei semi, per sopravvivere all’inverno, come un bene pronto al volo, ti rendo grazie, e canto della sera.
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