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al testo di Amina Narimi
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Ho inginocchiato gli occhi al tuo vedere la pagina piegata nel mio libro, mentre pregavi ai fianchi di una barca, tra i nostri passi appena disegnati come lucidi animali nella notte, per codici sottili di linguaggi, nell’urgenza di ascoltare, dentro il soffio, le tue mani ancora colme di frammenti, quando prendono la vita, risvegliati, nell’invisibile arteria della grazia. Tra la ruota, il cerchio, e la sua croce in questo canto puoi sentire come corro, se mi muovo sulla curva della luce di un vento largo, che si erge tra l’anello e il bianco inizio di una liturgia. Tutto si compie all’altezza delle braccia, nella baia, tra il seno e le tue spalle, con le dita innamorate, e voce a voce ci scambiamo una magia di primavera. Eppure io sono felice e tu distante- nel silenzio che fluisce reso grande in un cadere che ci tiene accanto- e se una mano, inavvertita, fra le membra, si posa a terra, come fosse un volo, nel suo pregare, e per tutta la lunghezza, non vive nulla che la possa sollevare. Come un frutto quando è maturo, e cade, in lei è andato ogni calore, radunato, come brezze nei cespugli, o nell’estate il grande freddo ai ripostigli della neve, accumulando tempo, in piccole orazioni. Ora è nel ventre un coro d’acque in piena dove la vita aumenta nei polmoni, nel continuo movimento di un miracolo, è il capo di un bambino nella luce, pieno di grazia simile a un vapore, quando stringe fra le mani come sogni i pezzetti di una mela luminosa- ripiegati come l’ll foglio di quel libro, nella pagina più amata- ricongiunta. ![]() |
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