Mi trovavo a casa dell'amico Ennio C., eccellente chitarrista jazz. Ad un certo punto, inaspettatamente, è arrivato in visita un suo vecchio amico, Mario F. direttore di orchestrine jazz. L'intento di costui, un personaggio singolare, irruente, era quello di convincere Ennio a ritornare sul palco, dopo tanti anni, per un concerto che stava organizzando. "Devi assolutamente venire Ennio. Pensa che ci sono pure degli archi dal Conservatorio. Un bel mix di jazzisti e classici. Sarà un successone" diceva Mario. Ennio scuoteva la testa "Se ci sono dei classici allora si devono leggere gli spartiti e tu sai che io non sono molto bravo a leggere". Mario però replicò "Ennio a te non serve lo spartito quello è solo per quegli asini del Conservatorio". L'espressione mi divertì molto. Avevo ben chiaro il valore di Ennio come musicista ma assistere a quel tipo di attestato di stima mi fece capire molto di più sui musicisti e sul loro rapporto con la musica. Durante la mia vita ho conosciuto diversi musicisti perché anch'io, in un certo periodo, mi dilettavo a suonare e a cantare. Ma avvertivo una differenza rispetto ai veri musicisti. Io avevo sempre bisogno di conoscere in anticipo tutte le sequenze armoniche di un brano mentre essi erano capaci di modificarle strada facendo, di inventarle, senza interruzioni. Se chiedevo "Che diavolo di accordo stai facendo" mi rispondevano "Che ne so come si chiama, il nome lo cerchiamo dopo". Essi erano guidati solo dal loro orecchio e navigavano senza sforzo apparente nel flusso musicale. Non c'era spartito, solo una traccia melodica con degli accordi di base. Si iniziava, in sordina, da questo schema ma poi le cose si complicavano rapidamente e di molto ed è proprio in questo momento che iniziava la magia musicale. Io dovevo studiare, me li dovevo scrivere gli accordi, dovevo trovare loro un nome, una sigla, per memorizzarli, per giustificarli. Ma ai veri musicisti tutto questo non interessava. Quando ritenevano di aver raggiunto il livello da essi desiderato nella jam session, attaccavano il registratore e via sull'onda dei suoni. Qualcuno di loro aveva più confidenza con la lettura e scrittura musicali e in seguito trascriveva alcune sequenze. Il grosso però lo facevano fare a degli specialisti che sulla base di questi appunti, della registrazione sonora e con la collaborazione dei musicisti, producevano lo spartito da commercializzare. D'altronde lo stesso Mozart diceva "Le note scritte sono solo cacche di mosca, la vera musica è qui" indicando la sua testa. Ma io avevo il pallino di trovare il nome, ovvero la sigla, di ogni accordo e così sollecitavo Ennio ad aiutarmi a decifrare certe complesse strutture sonore. Il tenore dei nostri dialoghi era il seguente. Ad esempio, suono come basso il Do e le note dell'accordo sono Re, Mi, Fa#, Sol, Sib. Riconosco in Do, Mi, Sol l'accordo base di Do maggiore, il Re è una nona (si potrebbe dire anche seconda?), il Fa# è una quarta eccedente, ovvero quinta bemolle ma anche una undicesima diesis. Insomma la sigla potrebbe essere Do7(9/#11) ma anche Do7(b5/9). E che succede però se come basso suono il Mi, con tutto il resto immutato? Se il Mi è l'effettiva tonica dell'accordo allora la sigla dovrebbe essere Misus2/7(#5/9/#11). E se invece, per semplificare, scrivo Do7(9/#11)/Mi o similare, qualcuno mi picchia? E simultaneamente facevamo le prove sulle chitarre, l'uno di fronte all'altro, e ogni tanto partiva qualche sequenza melodica connessa a questi accordi e si divagava , si divagava finché ad un certo punto ci chiedevamo "Che dovevamo fare?". Che periodo meraviglioso questo passato immersi in quel mare di suoni! Lontani dai rumori molesti del mondo, dimentichi degli affanni, dei meschini problemi della quotidianità. Poi la vita mi ha portato altrove e non ho più suonato. Ora il mio amico non c'è più. Però conservo ancora la mia vecchissima chitarra che giace buttata in un angolo a prendere polvere. Non ho più voglia, fiaccato dalla fatica del vivere, "The thrill is gone" come diceva quel vecchio blues. Ma in certi giorni bui e tristi nei quali nulla sembra andare per il verso giusto, nella penombra della mia stanzetta, perché in questi momenti aborro il sole, la riprendo in mano e provo, con le mie dita ormai incerte, qualche vecchio motivo. Sto lì a compitare le note come un bambino, a cercare di ricordarmi gli accordi, le sequenze armoniche. Provo e riprovo, smetto per la frustrazione, poi ricomincio ed ecco, ci sono, finalmente le dita ritrovano le antiche posizioni, parte "Garota de Ipanema" e la stanza si accende di una soffusa luce azzurrina.
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