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al testo di Anna Laura Longo
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Tra domesticazione ed estetiche di resistenza Quanto l’istituzionalizzazione e la burocratizzazione pesano sulle scelte e sull’operatività artistica in generale, spingendo verso una banalizzazione delle estetiche di resistenza? Per sfuggire a un vero e proprio addomesticamento delle arti continua ad essere necessaria un’efficacia combattiva, sul piano delle idee e delle pratiche. Tali tematiche vengono diffusamente prese in considerazione e affrontate nel nuovo numero del Journal de l’ADC (n. 78), pubblicato dall’Association pour la Danse Contemporaine di Ginevra e disponibile in lingua francese. Mantenendo saldo l’assetto dei numeri precedenti la rivista si presenta con un doppio dossier arricchito da rubriche, recensioni e articoli vari. Il tutto corredato dalla copertina e da alcuni disegni interni di Lisbeth Gruwez. Nell’insieme si prova a raccontare e dare testimonianza di una scena aperta, vivente, a tratti polemica, convocando artisti e non ad esprimersi su ciò che ci attraversa e ci connota artisticamente – e forse ambiguamente - nell’oggi. Una critica dell’istituzionalizzazione dell’arte intesse nel complesso il dossier intitolato Domestication. L’intervista di Alexandre Demidoff a Luca Pattaroni viene emblematicamente intitolata Artistes en liberté conditionnelle: si ripercorrono sinteticamene le tappe della storia della controcultura, con riferimenti graduali agli anni ’60 - ’80, sino ad arrivare ai nostri giorni. Nello specifico Pattaroni espone alcune delle sue principali idee, confluite nella recente pubblicazione collettiva e riccamente documentata Art, espace et politique dans la ville gentrifiée. La contre-culture domestiqée ( Metispresses). Il potere contenstatorio - a detta di Pattaroni stesso- è stato ampiamente indebolito o disinnescato in quanto la controcultura, in qualche modo, ha integrato un ordine che ha prodotto delle ambiguità. Soprattutto l’istituzionalizzazione ha portato a ciò. Questo processo viene chiamato, per l’appunto, domestication. Un termine di certo terribile, ma probabilmente chiarificatore. Lo spazio ha giocato - e gioca tuttora- un ruolo essenziale. La metamorfosi spaziale e politica delle città europee diviene in tal senso un interessante oggetto di indagine. L’ideale di autogestione - e più tardi di partecipazione- si è mosso, nel passato, di pari passo con un’ebollizione intellettuale e artistica quanto meno cangiante. Oggi paradossalmente gli spazi sono molti, ma il fatto che siano soggetti a una pressione regolamentativa, talvolta sterile e controproducente, finisce per rendere i progetti, le pratiche, le realizzazioni alquanto spente o depotenziate sul piano fattivo, con un ridimensionamento e persino con un’inibizione dello slancio ideativo e creativo. La proliferazione di certificazioni, indicazioni, bandi, autorizzazioni, associata alla securizzazione del perimetro, ha di fatto lasciato prevalere per l’appunto un atteggiamento e una mentalità inibente, a volte nefasta. C’è da riflettere quindi su quali possano essere, soprattuto a lungo termine, le conseguenze in termini di subordinazione ideologica e operativa. Il sistema di controllo amministrativo ha coinvolto, non sempre proficuamente, gli ambiti della formazione, promuovendo talvolta una professionalizzazione della cultura per certi versi povera, “plastificata”, purtroppo carica di energie di spegnimento. Anche i finanziamenti e le sovvenzioni hanno paradossalmente contribuito a ciò, inserendo l’intero discorso in un circuito di economizzazione o, potremmo dire, in un’esigenza di economizzazione tale da oscurare ulteriori aspetti di rilievo. Viene in sostanza ribadito nella rivista come continui ad essere davvero urgente difendere e mantenere un approccio critico e sperimentale, imbastendo nuove lotte e avviando ipotesi e ricerche. Lo spazio dovrà ritrovare da questo punto di vista le sue forze vive, per poter inventare libertà. L’intervista di Cécile Simonet, intitolata L’esprit des lieux a Gregory Stauffer si sofferma su tale aspetto. Vengono analizzati e portati alla ribalta i risultati e i percorsi di alcune città, ad esempio Ginevra, Lisbona, Lubiana, attraverso le ricerche di Cecilia Carmo, la quale mette in luce un nuovo regime di post contro-cultura, nel quale le questioni urbane e culturali risultano essere indissolubilmente associate. E ancora Jill Gasparina si esprime sulla particolarità di esperienze legate a Bienne, città bilingue a cavallo della frontiera linguistica tra la Svizzera tedesca e quella francese. Rinforzare la potenza e la responsabilità del gesto artistico, all’interno dei teatri, dei festival, delle scuole o dei luoghi di formazione resta un compito da perseguire, una preoccupazione di cui ci rende partecipi Anna Chirescu, intervistata da Mathilde Monnier, con un’incitazione a riunirsi e pronunciarsi su ciò che non va. La seconda sezione del dossier Domestication ruota intorno al nome di Laurent Cauwet, di cui viene presentato il libro La domesticaion de l’ art. Politique et mécenat (La fabrique). Un contributo di Annie Suquiet conduce infine in direzione di un ripensamento delle filosofie e delle pratiche meditative zen, diffuse in occidente, tra gli altri, da J. Cage e M.Cunningham e incentrate, com’ è noto, su una valorizzazione del presente. L’incrocio tra le perturbazioni dell’azzardo e le possibilità di controllo disciplinato spingono a riconfigurare e radicalizzare il gesto artistico, che sempre più diviene un’operazione di comprensione del vivente. Nella danza si compie, proprio attraverso Cunningham, una degerarchizzazione e decentralizzazione nell’utilizzo dello spazio: i campi di forze possono prodursi non importa in quale punto. Liberare l’immaginazione da qualsivoglia cliché si rivela un’avventura meravigliosa. E così, nell’editoriale firmato da Anne Davier e Michèle Pralong, viene suggerito di proseguire a concentrarsi sull’istante, sull’ ascolto, sull’accoglienza. Per comprendere (veramente comprendere) quale sia il senso di un processo permanente di trasformazione.
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