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Come dicevo, io scrivo poesie, ciò non vuol dire che io scriva solo ed esclusivamente poesie, certo (dato che ho anche parlato di una biografia) ma che nella mia personalissima e privatissima produzione scrittoria, i pezzi in versi sono decisamente maggiori rispetto a quelli in prosa. E parlo di versi e prosa non a caso, non perché abbia finito i sinonimi di poesia o di libro, cosa che mi renderebbe ripetitivo e ridonandante (anche se spesso e volentieri io -sono- ripetitivo e ridondante), ma perché il fatto che si parli di poesia non indica necessariamente che si tratti di versi. Dopotutto siamo nel DUEMILA e tutti conosciamo le destrutturazioni e le ritrattazioni e le abnegazioni (un sacco di -zioni!) di regole e leggi che hanno formato l’intero millenio passato e che la società moderna, quotidianamente, ci impone come prelibati e succosi frutti di libertà individuale. Ecco dunque che, per esempio, la musica perde gli spartiti, che il cinema perde le trame solide, che la poesia, come detto prima, perde la metrica, e che qualunque arte o scienza se ne vada semplicemente a fanculo.

Ma non mi si tacci, adesso, di tradizionalista. Perché non lo sono. Io amo il nuovo, il non vecchio, ciò che porta scoperta, perché è innegabile che siano questi i fondamenti di ogni tipo di conoscenza. Certo, a patto, però, che si riconosca il ruolo fondamentale del passato. Che poi dico io… che cazzo ci vuole a scrivere un endecasillabo? Mi trovo a rileggermi e mi rendo conto che circa il novanta per cento delle cose che ho scritto fin qui sono in metrica (per l’appunto endecasillabi, o settenari). Cioè, come dire, la cosa è di una tale facilità che mi sale l’odio solo a pensarci. Perché è questo quello che non capisco, che non accetto e che massimamente detesto; che l’ignoranza e il non interesse vengano giustificati da una presunta e meschina idea di individualità. Essere liberi significa conoscere i propri vincoli, e non semplicemente fingere che non ve ne siano. 

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