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La pietra della minestra

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La pietra della minestra.

Abitava con la moglie e i numerosi figli nati dal matrimonio nel vecchio casolare dell’Assunta. Lavoro da queste parti ce n’è sempre stato poco e il piccolo appezzamento di terreno permetteva soltanto di sopravvivere. Era quindi costretto a cercare di vendere la fatica a giornata, quando ci riusciva. Se ne usciva di casa la mattina presto e si ritirava soltanto alle prime ombre della sera.
Apriva la porta che malamente chiudeva l’apertura dello stanzone a pianterreno e la riaccostava, sbarrandola poi con il paletto passato dietro gli scuri dell’uscio, mentre la moglie e i figli gli si facevano dattorno. Gli sguardi erano tutti volti su di lui, ormai era ora di cena e da lui si aspettavano di che riempire lo stomaco.
Sul focolare del camino ardeva lento un fuoco tenuto vivo dalle fascine e dagli sterpi raccolti nella selva di monte Ofelio durante il giorno, un treppiedi annerito dal tempo e dall’uso sorreggeva un capace recipiente di rame, ma che ormai del rame non aveva più il colore, perché il continuo uso ne aveva annerito la superficie.
Dentro il paiolo bolliva l’acqua.
Beh? Non avete preparato ancora nulla per la cena?
Il tono era sempre leggermente scherzoso. Aspettavate me, non è vero? Ma anche oggi io non ho trovato lavoro e ho girato tutto il giorno per il pantano.
I ragazzi delusi si scostavano dal padre, si accucciavano vicino al fuoco, qualcuno tornava a qualche suo giocherello solitario. La cena rischiava di saltare.
Allora l’uomo dopo aver girato uno sguardo sui figli, appendeva il cappottaccio militare al chiodo infisso a questo scopo nel muro e poggiava a terra il tascapane bisunto che recava a tracolla.
Animo, anche questa sera faremo ricorso al nostro segreto di famiglia e faremo un buon brodo caldo con la nostra pietra fatata.
Sopra la trave che faceva da mensola per il camino era conservata in un angolo una bella pietra di fiume tutta liscia e nera. Questa pietra fatata, diceva l’uomo, prendendola e portandola a risciacquare al mastello dell’acqua, ve l’ho già raccontato mille volte, venne regalata da una fata al nonno del nonno di mio nonno. E’ la pietra della minestra, quando proprio non c’è niente da mangiare, con la pietra si prepara un pasto caldo e nutriente. I ragazzi si avvicinavano, avevano già vissuto altre volte questa storia, però ogni volta si facevano prendere dalla magia del racconto della fata buona che aveva donato quella pietra a quel loro antenato misterioso.
L’uomo faceva cadere la pietra ormai pulita e luccicante nel paiolo con l’acqua bollente.
Ecco fatto, ora la pietra è a bagno nell’acqua e tra poco si compirà di nuovo il prodigio. Ma ora vediamo come possiamo accompagnare il brodo che verrà fuori dalla pietra.
Si dirigeva allora verso il tascapane e vi affondava una mano estraendo due belle grosse cipolle rosse, si cavava di tasca il coltello a serramanico e lestamente le sbucciava, le spaccava a metà e, dopo averle risciacquate, le metteva nel paiolo con l’acqua e la pietra.
Di nuovo affondava la mano nel tascapane e questa volta venivano fuori due o tre grosse rape, belle rape bianche, che presto sbucciate e fatte a pezzi seguivano la stessa sorte delle cipolle. Poi ancora dalla borsa estraeva due carote e un mazzetto di asparagi selvatici che aveva raccolti nella pineta vicino al mare.
Anche questi finivano nella pentola, un mestolo di legno era lì pronto a girare lentamente la pietra e il resto.
Mettiamoci un po’ di sale per dare un po’ di sapore, affermava rimestando col cucchiaio di legno e assaggiando a volte in fil di labbra e soffiando per non scottarsi.
Dal tascapane venivano fuori ancora due o tre patate, raccolte chissà dove, e queste anch’esse sbucciate e tagliate a tocchi finivano nella pentola.
Secondo me, ci stanno bene anche quattro o cinque pomodori vernini, vanne a prendere ragazzo!. Ordinava al figlio maggiore che aperta la porta ne staccava qualcuno dalla treccia appesa sulla facciata del casolare e rientrava porgendoli al padre. E anche un paio di cerasielli, i peperoncini rossi dalla forma di ciliegia e poi naturalmente un filo di olio che veniva versato con grande attenzione dal recipiente di latta col beccuccio.
Dal tascapane usciva ancora un mazzetto di erba cipollina, la bietola, un poco di finocchietto selvatico, l’erba stella, tutte erbe che l’uomo conosceva bene e che raccoglieva nel pantano. La moglie, intanto, che la storia la conosceva a fondo, aveva già tirato fuori la tavola dove si stendeva la sfoglia nei giorni di grascia. Dal sacco nascosto sotto il lettone cavava un paio di mestoli di farina e lestamente con l’aiuto di un poco d’acqua calda impastava quel po’ di farina e la stendeva con il mattarello e poi la tagliava in listerelle sottili.
Dal paiolo ormai saliva un odore di buono e i ragazzi erano tutti lì attorno in attesa del miracolo della zuppa che si era avverato ancora una volta. Ma la storia ancora non era finita, il tascapane non aveva finito ancora le sue sorprese, come per magia dal borsone venivano fuori due uova di gallina.
Figuratevi che stamattina, mentre cammino sullo stradone vicino alla masseria di don Peppe, una gallina esce dal campo vicino al rivolo e mi cammina dinanzi, ed ecco che si dirige sotto un albero e dopo un po’ sento il verso che fanno le galline quando hanno fatto l’uovo, mi avvicino e vedo quest’uovo caldo caldo appena scodellato, e accanto ce n’era anche un altro. I gusci venivano rotti e le uova sbattute in una piccola terrina, intanto le listerelle di pasta erano andate a raggiungere la zuppa e alla fine veniva versato e rimestato anche il liquido dorato delle uova che presto si rapprendeva in più o meno grandi grumi giallognoli.
Una grande zuppiera di ceramica bianca, leggermente scrostata, e finemente segnata da lunghi righi neri, ricordo di tempi migliori, accoglieva quindi l’abbondante zuppa e veniva trionfalmente poggiata proprio al centro del tavolo.
La pietra fatata intanto veniva recuperata amorosamente dal fondo del paiolo e messa nel mastello affinché si ripulisse dall’unto. Ognuno si avvicinava pronto col suo cucchiaio di legno mentre la madre tagliava da un grosso pane raffermo qualche fetta.
Avete visto che buona zuppa è venuta fuori dalla pietra anche stavolta!

 elvira - 21/02/2012 12:29:00 [ leggi altri commenti di elvira » ]

Mi è assai piaciuto il tuo testo, sono arrivata fino alla fine e questo già è tanto... A volte non si arriva a metà. la foto del profilo, invece, è davvero orrenda.. :-)

 Alessandra Ponticelli Conti - 21/02/2012 09:15:00 [ leggi altri commenti di Alessandra Ponticelli Conti » ]

Un bel testo. La narrazione ricca e scorrevole ci restituisce, come in un quadro, con una punta di nostalgia, un mondo che non c’è più.

 robertoperrino - 17/02/2012 18:33:00 [ leggi altri commenti di robertoperrino » ]

bella pagina, sa di favola e di storia, calore contadino e un passato povero ma da rimpiangere

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