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al testo di Giampiero Di Marco
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Passeggiare non stanca
Quando è sera, d’estate, la gente esce dalle case, dove è rimasta rintanata nelle calde ore del pomeriggio e si riversa per il corso principale della vecchia città. La città fu costruita su un colle, tra due valloni fluviali, posizione ottima per la difesa, ma certamente non per il passeggio. Il corso si snoda attraverso le vecchie case corrose dal tempo che si sorreggono l’una con le altre, contorte, mal sostenute anche nella contiguità, grovigli di case ammucchiate, cresciute su se stesse e curve, quasi, per il peso, che sembrano toccarsi in alto, scampate a terremoti e guerre millenarie e che guardano, con le occhiaie sgranate dei loro balconi dagli infissi che cadono in pezzi, con la fissità di chi guarda senza più meraviglia. Non c’è traffico veicolare, almeno questo l’hanno ottenuto i verdi che per anni hanno strepitato in Comune, e la gente può passeggiare tranquillamente in su e in giù, come un nuotatore in allenamento che accumula vasche su vasche sempre con la stessa bracciata lenta e distesa. La gente cammina per strada divisa in gruppi distinti: i comunisti, i democristiani, la corte di questo o quell’assessore, i socialisti, i liberi pensatori, i tifosi della squadra del Napoli, i milanisti, i cantori della corale, i difensori del centro storico, gli ambientalisti, i priori delle confraternite. Vere monadi chiuse non comunicano tra loro. A volte succede che qualcuno passa da un gruppo all’altro, ma questo in genere lascia supporre la capacità di ben altre acrobazie. All’interno dei gruppi la regia è molto rigida. Ci sono naturalmente i protagonisti, poi vengono i personaggi fissi, i caratteristi, e poi le comparse, i comodini e infine i novizi, quelli che debbono fare apprendistato, infine ci sono gli stagionali, i saltuari e quelli a mezzo servizio. Rari sono i passeggiatori solitari ed appartengono a categorie precise ed inconfondibili: i filosofi senza accademia, i pazzi, gli scrittori di storia locale, i malinconici e gli ubriaconi. Ci sono posti privilegiati per osservare adeguatamente il passeggio. Tra questi oltre al Circolo cacciatori ed alle farmacie, che da sempre fungono da club politici, negli ultimi tempi una certa importanza è stata acquisita dalla sartoria di Pomicino. Vari fattori hanno contribuito ad elevarla al rango di vera e propria istituzione culturale, ma soprattutto è la posizione che ne ha determinato lo sviluppo, situata com’è in un punto strategico del corso, proprio su di un incrocio importante, in un punto dove la discesa, o la salita, è più impegnativa e costringe a rallentare, permettendo così a chi sta seduto nella sartoria di captare qualche parola o addirittura brani interi di conversazione, che poi opportunamente ricombinati ed interpretati danno la stura a tutta una serie di congetture, oppure danno semplicemente lo spunto a qualche frequentatore per una brillante sortita in un qualsiasi campo dello scibile umano. La sartoria è un locale grande, più lungo che ampio, ma fresco, accogliente, con le sedie già pronte che attendono i soliti frequentatori. Il padrone di mezz’età si affatica con i suoi lavoranti, stira, imbastisce, taglia tra una chiacchiera ed un’altra, tra un pettegolezzo ed un altro, sbuffa per il caldo e allora sorbisce volentieri una granita di limone che uno dei lavoranti è lesto a portare dal bar vicino. Piccolo, tarchiato, paffuto, dal viso giocondo, rubizzo e quasi imberbe ascolta volentieri il chiacchiericcio dei suoi aficionados mentre continua febbrilmente il suo lavoro. L’industria del prêt à porter l’ha distrutto, non sono molti ormai quelli disposti a farsi l’abito su misura, ma l’uomo si arrangia in mille modi. A dire il vero qualche anno fa, pensando di poter fare ancora concorrenza alla nascente industria dell’abbigliamento confezionato, aveva cercato di brevettare un suo rivoluzionario metodo di ricavare la taglia precisa dalla semplice fotografia, evitando così i fastidi delle prove ai clienti, ma allora i sarti erano ancora dei sarti, non erano gli stilisti di oggi e la sua tecnica rivoluzionaria, senza l’appoggio di uomini politici potenti e dei mass media, si risolse in un fallimento anche economico perché il poveretto dovette pagare di tasca sua tutte le inserzioni pubblicitarie sui giornali. Oggi però ha l’appalto di tutti i negozi d’abbigliamento cittadini e fa la piega ai calzoni che questi negozi vendono ai clienti. Aiutato dalla moglie organizza poi gite turistiche dappertutto, gite a prezzi popolari, tutto compreso, colazione a sacco, partenza in pullmanns di lusso, sfacchinate sotto il sole cocente, ritorno in nottata, dopo centinaia di chilometri di viaggio con canti e cori di aridammi lu fazzolettino e montanara bella da Lourdes, Fatima, Cascia e Assisi, o S. Giovanni Rotondo da qualche tempo assurto agli onori di meta preferita, ma anche Gallinaro, per gli itinerari religiosomisticomiracolistici. Oppure gite godereccie per pensionati a Rimini, Cattolica, S. Marino per il tour gastronomicoultrapopolare. Inoltre s’incarica delle prenotazioni per le pomeridiane dei loggionisti del S. Carlo. La sartoria ha ospiti fissi e selezionatissimi. Innanzitutto Melenso capoufficio dell’Anagrafe, fonte informatissima ed inesauribile di pettegolezzi del centro e del circondario. Melenso è molto compreso dell’altissima funzione e del posto che occupa all’interno della complessa burocrazia comunale. La prima cosa che fa entrando ed occupando la sua sedia nella sartoria è il racconto minuzioso e circostanziato della sua attività giornaliera, di come ha redarguito il sindaco o quel dato assessore che volevano con la loro invadenza entrare nelle sue specifiche competenze, di come con solerzia e capacità ha sbrogliato qualche matassa cartacea mandando avanti il paese di un passo sulla via del progresso. Poi c’è Ninitto, ex procuratore delle Imposte in pensione, ora caposcuola della neoavanguardia poetica locale. Ninitto in tutta la sua vita di funzionario statale, trascorsa in diversi uffici del nord, non è riuscito a mettersi da parte neanche un soldo ed ora vive stentatamente con la sua pensione di statale. Era un impiegato integerrimo, o come vuole qualcuno non troppo sveglio, se dalla sua attività di censore, che altri hanno saputo far fruttare così bene, riusciva solo a guadagnare qualche paio di scarpe o a scroccare qualche cena, ogni volta che per pietà qualche usciere suo dipendente gli cedeva la pratica di qualche commerciante. Ritiratosi al paese natio, vive attorniato da una specie di corte dei miracoli di poeti naif di cui è stata sempre prodiga la nostra terra e che lo hanno eletto caposcuola, dato che anche lui scrive poesie, e gli portano a correggere i loro parti già pronti per essere inviati a concorsi e premi letterari ed intanto gli scroccano sigarette e cappuccini. Ninitto siede nella sartoria per un’oretta la sera, per lo più tace, acconsentendo per quieto vivere alle dotte affermazioni degli altri soci, specie a quelle del professor Attonito, onore e vanto della cattedra di belle lettere del locale liceo classico, altro frequentatore fisso di Pomicino. Attonito è scapolo, per libera scelta s’intende, non di castità però perché lo punge e parecchio il rimpianto di quel sesso di cui ormai ha vaghi ricordi e che cerca invano di richiamare alla memoria guardando con ingordigia il petto procace di qualche allieva. Lui non si sposò per non perdere l’intimità con se stesso. Ormai ha oltrepassato la sessantina, obeso, rubizzo per l’ipertensione del ghiottone inveterato, accidioso e scroccone, è proverbiale in tutto il paese per la sua avarizia. Trascorre la vita cambiando la sedia della sartoria, con la poltrona della TV che per lui, che non è mai uscito dal paese se non per concorsi e commissioni d’esami, costituisce una vera finestra sul mondo. E’ lui, comunque, che lancia le frecciate più velenose contro Ninitto il quale, nonostante l’età e i dubbi che in gioventù ci furono sulla sua virilità si permette il lusso, a sessanta anni suonati, di intrattenere una relazione amichevole, e fino a che punto amichevole e intima è un mistero che affascina il pubblico della sartoria, con la bella Maddalena, l’austriaca che si è trasferita nel ventre della vecchia città, dove ha comperato e restaurato una casa proprio sulle mura che guardano nella valle. Ninitto sorride sornione e si schermisce, lui parla il tedesco e questa è forse la ragione della sua amicizia con la donna, con la quale si limita in fondo ad ascoltare Beethoven. Il padrone è onorato della presenza dei suoi frequentatori ed ascolta rapito le conversazioni di così illustri personaggi. Ma la situazione diventa incandescente quando s’accende la polemica fra Castruccio e Geppetti, una polemica affascinante che da decenni avvince il paese intero, che ora pende per l’uno, ora per l’altro. I due sono i capifila locali di due tendenze della critica letteraria, la critica acritica e la critica ipercritica. Da anni non si parlano nemmeno, se non per interposta persona. Anche la polemica va avanti così per terze persone. Castruccio si siede nella sartoria, lancia il suo attacco polemico e se ne va. Più tardi passa Geppetti, gli viene riferita l’invettiva del primo alla quale risponde per le rime e se ne va anche lui. Si continua così da anni con quella sedia che serve a tutti e due e che viene lasciata libera apposta solo per loro. I due non si incontrano, non debbono incontrarsi, dice qualcuno, come non può succedere per la processione pasquale del santo patrono e della Madonna, che seguono percorsi diversi e non s’incontrano pena la sciagura per la città, ricordo storico di un accoltellamento quando, per motivi di precedenza di una o dell’altra processione, morì uno dei figli del duca Marzano. La stesa cosa si pensa avverrebbe se s’incontrassero l’uno o l’altro. Queso fatto è diventato proverbiale, tanto che qualche cittadino, passando dinanzi alla sartoria, accompagnato da parenti del circondario, mostrando la sedia esclama: chesta è ‘a seggia! Castruccio, comunista feroce, con i catenielli al naso, per sbarcare il lunario ed essere assunto al Comune dovette organizzare una conversione che fece scalpore. Si gettò letteralmente ai piedi della Madonna portata in processione solenne nel ’48 da padre Juè, attendendola all’incrocio solito delle conversioni vicino alla cappella dei carcerati. Infatti questo è un espediente ricorrente nella storia cittadina e ancora oggi viene usato in diverse occasioni, da potenti che hanno qualcosa da farsi perdonare, o da semplici cittadini per essere riammessi nella ecclesia. Questa è la vera Corte d’Assise, non quella di S. Maria. Ladri pubblici, amministratori disonesti, delinquenti comuni, camorristi, falliti, tutti la Madonna ricopre col suo manto misericordioso. Geppetti è segretario particolare del notaio Siafatta (la sua volontà) e dal suo posto privilegiato, attraverso un complicato gioco di piccoli piaceri, carte sbrigate prima di altre, capacità personale di ricordare notizie e date e persone è stato capace di ritagliarsi una piccola fetta di potere. I due hanno in comune la passione per la lettura. Castruccio è un divoratore di libri, è impossibile vederlo passeggiare senza un libro tra le mani. Anche per la strada continua a leggere con le sue lenti spesse, ignaro del mondo che lo circonda. Legge soprattutto romanzi, storie d’amore e d’avventure. Geppetti è abbonato a tutte le riviste letterarie d’Italia e non legge nulla se prima non ne ha letto la critica. Insomma uno legge romanzi e l’altro finisce per leggere soltanto la critica dei romanzi. Due posizioni inconciliabili. Prima o poi tra i due succederà qualcosa di brutto. La sartoria funziona da sempre da luogo di conversazione libera, vi si può parlare di tutto, senza limiti o falsi pudori, unico tasto da non toccare sono i sindacati. Pomicino diventa una bestia al solo sentirne parlare, lui che è così mite. Lui personalmente non ha mai avuto storie con i suoi lavoranti che tratta come persone di famiglia, il fatto è un altro. Al tempo della sua lotta contro l’abito confezionato si era ritrovato un po’ alle strette economicamente. Allora per andare avanti, mentre cuciva un vestito, portava ad impegnare al Monte di Pietà tutti gli altri tagli di stoffa che gli portavano i clienti. Cominciava così una lunga trafila di finte prove e controprove, di rinvii, con i clienti che andavano e venivano, appuntamenti saltati perché il padrone non si faceva trovare, bugie pietose, minacce, appostamenti in strada o nel portone di casa, finché poi, avuto il saldo dell’unico abito messo in lavorazione, non andava a ripigliarsi al Monte un altro taglio di stoffa e andava avanti così con vestiti estivi consegnati a Natale. Nessuno se ne sarebbe mai accorto e tutto sarebbe andato liscio, nonostante le proteste dei clienti, ma un bel giorno i dipendenti del monte dei pegni, diventati dipendenti di una banca vera e propria, che aveva assorbito il monte, non avessero iniziato un lungo sciopero per adeguare il loro stipendio a quello di tutti gli altri dipendenti della banca. La cosa venne risaputa per forza ed il maestro dovette spiegare la situazione ai clienti e perdere la faccia e stava per perdere anche il lavoro e tutto p’a bbella pippa ‘e Lama. |
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