Tu eri una ferita avara che invano tentai di smacchiare col candeggio della poesia. Appena nata mi avvoltolai nel giorno strano come triste astro nella sabbia. Poi mi feci un carapace perché l’alba non dissanguasse. E ogni primavera deposi uova amare là, sulla sabbia rossa, senza saperne la sorte. Ma fu da quell’alveare decomposto, senza regina, che trassero il mio nome, a arpioni; come da un pozzo artesiano dove, di notte, arde una stella.
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Elisa Mazzieri
- 10/10/2022 05:31:00
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La pancia dellultimo dinosauro, racchiude, per molti, il codice della vita. Se il carapace è lo scudo?
E scavando nel profondo della sabbia nera, rettificando si estrae dal rosso, immune, lastro occulto.
Il fluido raggiunge la sua via, se privo di vincoli, sgorga dal pozzo naturalmente. Artefice e alchemico.
I miei omaggi.
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Franca Colozzo
- 09/10/2022 22:41:00
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Più profondo e acuto è il dolore, più forte si leva il canto della poesia che vorrebbe avvolgerlo della sua eterea magia. Ma pare che tu sia riuscita ad estrarre dallavara ferita lamaro fiele, e a trasformare il disincanto, racchiuso dentro di te, in un astro luminoso.
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Angelo Naclerio
- 08/10/2022 12:12:00
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Buongiorno Annalisa, nel leggerti nelle ultime poesie mi son chiesto: può londa delloceano dire del vento, delle correnti, della nave, dellorca, del tuffo dellalbatro, del ghiaccio, dellisola, dellinterminabile cammino degli astri riflessi fin dentro i suoi pozzi di vita? Pare di sì..
Quanto ai tuoi sempre puntuali rimandi al sacro, mi sono imbattuto su Pangea su un articolo che mi ha assai colpito, anche perchè inizia citando W. Blake, poeta tra i miei amati ed inimitabile: “Era un poeta. Impassibile e vertiginoso”. In devozione alla parola precaria. Di Isabella Bignozzi
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SilviaDeAngeliss
- 08/10/2022 11:42:00
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Una chiusa davvero straordinaria, in questa lirica, in cui un dolore molto forte, interpreta uno stato danimo tormentoso, molto difficile da sopire, nelle anse della mente... Sempre originalissimi, e di bella lettura, i tuoi testi. Buon fine settimana carissima
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Vincenzo Corsaro
- 08/10/2022 10:07:00
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Aveva un grande peso e una ferita che aveva una sua bellezza. Le ferite damore sono come i fiori della notte, molto più belli di quelli di un giorno qualunque, ma con spine come chiodi roventi. Nonostante il dolore, non sembrava vivere e nemmeno morire. Forse per via di quella speranza dipinta da chimera, legata come un codino sullanima e lunga fino alla fine dei giorni. Per lo squarcio che si apriva a ventaglio sul torace, o forse solo per il modo in cui viveva, molto simile alluomo che lo portava e che scivolava fra i cespugli della vita dando limpressione di non spezzare un rametto, di non piegare uno stelo derba, dove ogni goccia di rugiada racchiude luniverso. Forse perché aveva labitudine di sentirsi colpevole anche per le cose di cui non era responsabile, dando così al destino un terreno fertile in cui affondare il proprio aratro.[...]
Certe ferite stentano a guarire e quando sembra che lo siano, basta sfiorarle per farle sanguinare ancora, come stigmate. Sempre intensi i tuoi versi che trascinano chi li legge in un maelstrom di emozioni. Brava! Un sorriso :)
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