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al testo di Anna Maria Vanalesti
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Roberto Maggiani da sempre nella sua poesia esplora la forma dell’Universo, affascinato dalla ricerca scientifica e convinto assertore di un unico linguaggio poetico, matematico e fisico che possa interpretare e svelare i misteri dello spazio e dell’esistenza. Tutte le domande e gli interrogativi inquietanti che l’uomo si pone sin dalla sua prima apparizione sul pianeta Terra, trovano il loro alfabeto e la loro più autentica espressione nell’equazione che viene stabilita tra la scienza e la poesia, in un connubio inscindibile, avvalorato non da formule precostituite, ma da parole incastonate in versi a lungo meditati e organizzati secondo un criterio di unità e armonia. Non è la prima volta che Maggiani affronta il problema dello spazio infinito e della materialità che pur lo compone, forse per una quasi ossessiva domanda circa il rapporto tra corporeità e spiritualità, nel tentantivo di trovare un nesso tra il prima e il poi di ogni essere, tra l’universalità e l’infinità del tutto e la precarietà dell’esistente, ancorata ad un ciclo inestinguibile di nascita e di morte. Prima di ogni nascita a chi appartenevano le molecole che si sono ricomposte in una nuova materia? Quante forme ha la vita e quanti tempi? Che cosa faceva ognuno di noi prima di essere vivificato? Queste sono le domande che solo un poeta, che sia anche fisico e uomo di scienza, può porsi in modo del tutto diverso da come se le potrebbe porre chiunque. La mappa da seguire per trovare risposte diventa quindi la poesia, ovvero quel potere di forte concentrazione nella parola, di intuizione, folgorazione ed espressione, che in un lampo riesce a rendere comprensibile e raffigurabile il processo del pensiero. La poesia di Maggiani è infatti poesia che si pensa, perché affiora da un percorso speculativo complesso, che non si arrende ai primi risultati, che vuole arrivare ad un quadro sistemico di rappresentazione e raggiungere il punto di convergenza non solo tra scienza e arte, ma tra ragione e fede, non intendendo rinunciare a Dio, che rimane il pilastro fondamentale della costruzione dell’Universo. Ed è per questo che non basta più al poeta esplorare dall’esterno la geometria spazio-temporale che lo circonda, ma occorre esplorarne “gli angoli interni”, che soli possono rivelare la direzione reale delle linee, a patto che non se ne sbagli la somma. Accade quindi, in questo nuovo libro, che in mezzo ad una situazione di luce e di bellezza, come quella in cui il poeta si viene a trovare ricordando qualche momento a Lisbona, al guizzo dell’immagine poetica, segua la lucida, razionale visualizzazione geometrica, pur basata sulla somma sbagliata degli angoli interni:
In tutto l’Occidente pare non esserci un sole più luminoso le cui dita tocchino i tetti e le strade come qui a Lisbona – molli carezze e rintocchi sulle campane.
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Seguo le linee degli sguardi: lei guarda me io guardo lui lui guarda un’altra – un triangolo perfetto se non fosse per la somma sbagliata degli angoli interni. È solo uno dei tanti esempi di come proceda questa poesia, che diviene strumento di analisi dell’esistente, di indagine sull’essere e l’esistere, di ricerca della continuità tra ieri e oggi, nell’immensità universale, dove il poeta è convinto che nulla muoia del tutto e nulla nasca del tutto. L’esame si spinge fino all’evoluzione della specie, che Maggiani rivede secondo una sua chiave poetico-scientifica:
Quando del mondo non c’era ancora piena coscienza apparve in Africa il genere Homo
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I piedi sono una mano trasformata – adattata a sostenere un’agile falcata: furono piedi africani a varcare la soglia del continente verso le terre che ora abitiamo.
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Dunque l’Africa è dentro di noi (guardati dentro e troverai l’Africa), l’Africa paradiso perduto della specie Sapiens. In tempi di forte ritorno del razzismo Maggiani proclama nei suoi versi la nostra appartenenza all’Africa. È anche questo uno degli angoli interni da esaminare nella vita. Proseguendo nella sua singolare ricostruzione della genesi, il poeta ripercorre le origini dell’uomo e della donna, (in cui il cervello è il risultato di un lungo, lunghissimo succedersi di casuali migliorie), consapevole che in noi vivono millenni del passato. Ancora, dunque, Maggiani si tiene ancorato alla continuità tra presente e passato, cogliendone il nesso indissolubile, che definisce calore antico, o una lontananza. Ne scaturisce una primitività di gesti, di azioni sopravissute agli anni del progresso e della modernità, come per esempio l’atto dei cacciatori-raccoglitori di un tempo e di oggi. Visitando una grotta e scoprendo in essa le vestigia dei primitivi, il poeta avverte la vertigine del tempo che tutto e tutti avvolge, pur separando le generazioni tra loro, per questo si guarda attorno e ogni cosa vorrebbe far rientrare e includere nell’unico spazio che conosce e domina, quello della poesia. I due interrogativi alla base di questo libro sono: chi siamo? Siamo nati dal caso o dalla volontà di Dio?
Guarda il vivente che hai di fronte: è sorto dal caso o da una volontà? Il suo DNA è uno scarto o un progetto del cielo? I fatti della nostra origine rieccheggiano nella storia del soffio di Dio sul fango. Forse si trattò di un esperimento evolutivo messo a punto da una civiltà venuta da un altrove e ancora là residente. In tal caso Dio sarebbe Scienza. Non è così remota la possibilità di raggiungere il suo tecno – paradiso – la sua eternità.
L’affermazione più ardita in questi versi è la possibile identificazione di Dio con la Scienza, che in considerazione del fatto che Maggiani oltre ad essere un poeta è un fisico e che ha sempre cercato l’equazione tra poesia e scienza e scienza e fede, non deve meravigliarci. È in sostanza un altro degli angoli interni da lui esplorati. Se l’uomo è pascolianamente l’Adamo che dà il nome alle cose, il poeta può e vuole cimentarsi con la creazione – invenzione, creazione del mondo e invenzione delle parole che rende il mondo esistente e reale proprio perché nominabile. Dio dice una parola (ad esempio Gatto) e lui è; il poeta inventa una parola e quella cosa è. Così si crea il nesso tra le cose e le parole, un divino prodigio della poesia ed è così che si conclude la sezione Homo di questo libro. Seguono altre sezioni apparentemente staccate l’una dall’altra, ma in realtà consequenziali, in un disegno che si viene componendo come disegno della realtà e progetto del poeta, teso a dimostrare che la Scienza è un’attività della nostra capacità simbolica come scrivere poesie. Dunque egli interroga il reale, ricerca il come della scienza e il perché della fede, senza mai rinunciare all’una e all’altra. La sezione intitolata La mela è colma di suggestioni astronomiche, dal sorgere del sole ai frammenti sulle tre stagioni, in cui la parola cede alla formula matematica, nell’impossibilità di spiegare l’inesprimibile, per non parlare dei fenomeni astronomici veri e propri (eclisse di sole, comete, meteoriti, stelle, buchi neri) che si chiudono sull’immagine dell’uomo che salda stelle nel cielo del presepe. Certo questa parte è la più astrale dell’intera silloge, perché Maggiani si muove contemplando gli spazi celesti, con quel puro stupore che contraddistingue ogni sua ricerca. Ed è bella e poetica la conclusione di queste sequenze per così dire cosmiche e stellari:
Forse coloro che hanno così avanzata scienza che della fantasia facilmente fanno materia: rendono reali i loro pensieri estraggono la gioia dal dolore e scelgono per il tempo che rimane solo bellezza.
La scelta finale ci colpisce, quella bellezza è il solo bene a cui il poeta tende ed è un altro clamoroso risultato della misurazione degli angoli interni. Ma non si placa l’Assillo (titolo anche di un nuovo gruppo di liriche) di scrutare l’Universo, di coglierne le ragioni, il perché, la verità dell’esistenza e quindi con una raffica di strofe brevi e in cadenza ritmica martellante, l’autore batte la pista della sua indagine e interroga (molti i punti interrogativi nei versi), applicando la regola dei quanti e attenendosi alla loro coerenza ( il fisico è costantemente presente accanto al poeta). E appena il paesaggio infinito dell’universo si fa troppo incorporeo ed evanescente, Maggiani torna al paesaggio amato del Portogallo, come nella lirica Aveiro dove svela la sua intima condizione in due bellissimi versi: Ci moviamo tra gli elementi del mondo/internamente sospesi tra la realtà e il sogno. Quando si giunge al gruppo intitolato Angoli interni ormai sappiamo tutto di questi angoli e le poesie che leggiamo ce ne danno conferma: la scoperta della bellezza e dell’amore. Sono i temi più cari a Maggiani, in assoluto i due campi in cui la sua poesia si esercita più frequentemente. Che cos’è la Bellezza per il poeta? Di certo non è soltanto una bellezza di forme, ma è armonia, incanto, un arpione nello sguardo e non è solo bellezza dell’uomo, ma di tutte le cose, presente nell’universo, nella sua luce, nelle sue linee. Dalla bellezza nasce l’amore, che qui viene visto anche nella sua diversità, amore a tutto tondo, senza differenze, amore come innamoramento dell’altro, della sua nudità, della sua naturalezza. L’amore, come leggiamo nell’ottima prefazione di Deidier, è “movimento che platonicamente spinge la realtà a fondersi, e così gli uomini, nel superamento del loro egoismo”. L’eros si incarna nella parola, si concentra in un vocabolo e diviene immagine davanti a noi, perché la poesia di Maggiani, ricordiamolo, è soprattutto nel suo linguaggio, accuratamente raffinato ed educato a divenire linguaggio poetico. La contemplazione del soggetto amato si trasforma in fisicità, in piacere, in Bisogno di mani, emblematico titolo della lirica che chiude questa sezione. Segue La terra promessa, sezione in cui alcuni fondamentali affetti sono presenti con la loro urgenza di amori necessari: c’è l’incontro con la persona amata, visto e vissuto come la promessa di raggiungere quella terra a cui rimanere per sempre fedele, c’è la poesia dedicata alla madre e quella dedicata al padre, entrambe colme di tenerezza e di ricordi. Ma la sezione centrale di tutta la silloge è senz’altro quella dedicata al nipote Pietro, amato più di un figlio e visto come la figura che rappresenta il nesso di continuità tra passato, presente e futuro. L’amore del poeta si concentra su questo nipote, chiamato piccolo uomo, ma anche principe, che gli appare come una via di salvezza.
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Sei un condottiero senza armi né eserciti Che dimostra il suo valore Nella foga del sonno e della fame.
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Anche se in un luogo qualunque del Cosmo esistesse altra vita tu mi fai pensare che nessuna potrà essere bella come la tua piccolo uomo e principe – mio delirio e salvezza.
È quasi un poemetto nel poema, questo dedicato al nipote Pietro e vive di vita sua, con autentici accenti di intensa tenerezza. Le altre cinque sezioni che costituiscono la seconda metà del libro, affermano l’impegno civile di Maggiani, come uomo, come poeta e come docente. Il suo modo di relazionarsi agli altri, sentendo la responsabilità di ciò che dice e ciò che fa, la sua voglia di trovare risposte scientifiche e di offrirle attraverso la poesia, il suo permanente messaggio di pace, contro la guerra e l’odio, si rivelano in quel capitolo che si intitola Disinnesco, in cui lui dichiara apertamente che non fabbrica bombe, ma le disinnesca e in questa metafora si legge il suo lavoro di insegnante, il suo desiderio di andare incontro al mondo e agli uomini con il sorriso e la speranza. Emblematici sono alcuni suoi versi, che risaltano come dichiarazioni di intenti e di poetica:
Non strapperò il fiore né calpesterò l’insetto (da L’uscita)
Chi può dire che non conosca quei segreti che tanto cercate e non veda Dio e con lui non parli ogni giorno? (da Ossessione di evidenza)
Dovrò dirle che disinnesco bombe atomiche anziché armarle. (da Disinnesco)
La terra d’appartenenza è dove tornano i piedi dei migranti (da Agli esodati)
Versi estrapolati da varie strofe di questa sezione, ma che da soli testimoniano il desiderio di pace e di non violenza, il rispetto per l’ambiente e gli altri, il senso della religiosità, la partecipazione al dramma dei migranti e degli esodati. È proprio da questo impegno civile, scaturisce naturalmente la sezione dal titolo La carrucola, dove si affronta il tema delle uccisioni, della morte, del perdono e dell’ateismo. Infine nell’ultima parte (La disfatta) sono raggruppate liriche di carattere elegiaco in cui, mentre viene ripreso il pensiero del Cosmo che si affanna ad esistere e che riconferma la sua eternità e continuità, torna il discorso sulla morte, mistero insolvibile, al quale non ci si rassegna.
Non sembra vero che esista la morte in questo spazio di respiro in cui vive il corpo come in una perenne giovinezza. (da Spazio di respiro)
Mai si dovrebbe consegnare il corpo alla morte ma se proprio dovremo – e si dovrà – è bene fin d’ora abbandonare ogni attaccamento alla materia liberare la via alla felicità. (da Senza limiti o scadenze)
La morte avviene Sempre nello stesso modo: si fermano il cuore e il respiro – ci si dimentica di esistere. (da Morire)
Particolarmente intense e toccanti queste poesie sulla morte, suggellate direi dalla lirica dedicata all’amico Andrea che più non vive e che il poeta è riuscito a fermare nella sua giovinezza. Il libro si chiude con un gruppo di liriche intrise di serenità e forse di un certo ironico sorriso. Il titolo stesso La Minestra, è ironico; c’è da parte del poeta un’accettazione serena dell’esistenza, e dei suoi lati anche negativi, c’è superamento del dolore e c’è il senso dell’abbandono da parte di Dio, anche se non cessa la sua ricerca. Ma soprattutto c’è la compartecipazione alla sofferenza del mondo e degli altri uomini, un desiderio costante e immutato di dare aiuto, più che di riceverlo. È il libro della maturità di Roberto Maggiani, è la sua nuova geometria poetica, di cui padroneggia attraverso il linguaggio, la misurazione degli angoli interni, cioè l’esplorazione dell’infinito che si congiunge col finito.
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