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La Maddalena

LA MADDALENA


Lei è venuta con me alla Maddalena, come tanti anni fa venne con me a S. Teresa di Gallura e mi è stata sempre vicina: ogni notte mi ha visitata, siamo andate insieme nella vecchia casa, mi ha aiutato a fare i bagagli e a mettere in ordine, mi ha parlato, mi ha sorriso. Nelle spiagge dove sono stata ho visto il suo volto nel profilo delle montagne, ho sentito la sua presenza a Caprera, dove lei vide con me la casa di Garibaldi. Ho provato la sua stessa solitudine, il suo stesso malessere, al centro dello stomaco, sul far del tramonto, quando sentivo la lontananza dei miei figli e desideravo inutilmente che qualcuno di loro mi chiamasse al telefono. Nessuno squillo. Poi è arrivato Lorenzo e ho vissuto dei giorni con lui, inseguendo la sua famiglia, le sue tre meravigliose bambine, lasciandomi completamente manovrare da queste mie straordinarie nipotine. Ma lei era con me, non mi ha abbandonata un momento. Con me ha nuotato nelle acque cristalline di Cala Portese, nello smeraldo di cala Connery, nella pura luce di Abbattoggia. Si è immersa con me a Bassa Trinità mentre i pensieri si allontanavano dalla mente ed io e lei eravamo una sola cosa. Forse mi ha perdonato per non esserle stata vicina nell’ora del trapasso, o forse il dolore e la rabbia per la sua morte sono il tributo che dovrò pagare per quanto mi resta del futuro. Certo è che a La Maddalena è successo qualcosa: ho sentito morire il mio tempo, ho creduto che nessuno più mi amasse, tranne quando ho visto mio figlio aspettarmi, mentre arrancavo sulle rocce della Madonnetta, per raggiungerlo sul sentiero sterrato. La Madonnetta era là che ci attendeva tutti: le bambine e mia nuora sono arrivate per prime, io per ultima, Lorenzo è rimasto un po’ distante. Il minuscolo tempietto ci ha accolte, le bambine lo hanno visto subito come una piccola casa, io ho alzato lo sguardo velato di lacrime verso la statuetta bianca e azzurra e ho pronunciato una breve preghiera per lei. La bellezza dell’isola ha qualcosa di stanco al tramonto, come se l’arcipelago si ricordasse all’improvviso di coloro che non ci sono più e che sono passati però tra quelle onde e quegli scogli. Poi, di sera, si leva un vento fresco che può far rabbrividire un cuore come il mio, non più avvezzo all’amore da ricevere, ma ancora ostinato all’amore da dare. Mi sono interrogata sul rapporto con i figli e attraverso quello che provo io, ho capito ciò che lei deve aver provato dal momento in cui noi suoi figli ce ne siamo andati, lasciandola sola. I figli crescono e diventano altre persone, con sentimenti diversi da quelli che noi madri abbiamo loro attribuito, o credevamo che avessero. Si formano una famiglia e ruotano soltanto in quel cerchio, unico spazio e unico orizzonte del loro bene e della loro volontà. Amano intensamente solo i soggetti che tale spazio include, vite che dipendono da loro. Tutti coloro che furono prima, genitori, fratelli, sorelle, passano in secondo piano. E’ legge di natura, così è successo a me e soltanto ora che ho perso mia madre, me ne rendo conto. Così accadrà ai miei figli, quando io non ci sarò più. Ora io rivedo la mano di lei che mi sfiora, mentre passeggiavamo insieme, o eravamo sedute vicine. Risento le sue parole al telefono: “sul divano dove eri seduta ieri sera con me, c’è ancora la tua forma” . E’ un dolore sordo, inguaribile e l’ho risentito alla Maddalena. Ho avuto timore a sfiorare mio figlio con una carezza, ma per fortuna ho potuto stringere al petto le sue bambine. Ho desiderato avere vicina la mia prima figlia e l’ho chiamata, ma la sua voce al telefono era fredda e lontana, quasi infastidita. Perché mi è ostile? Perché si è così disamorata verso di me? Sarà vero,come lei dice, che sono stata troppo severa con lei nella sua adolescenza?In qualche modo è riuscita ad allontanare da me anche sua figlia, la mia adorata prima nipote. Spero di sbagliarmi, spero che sia solo una mia impressione, ma è certo che questi sentimenti li ha provati anche mia madre, aggravati dalla solitudine. E’ mia la colpa della sua solitudine, avrei potuto riempire il vuoto lasciato nella sua esistenza, dalla prematura morte del marito, dalla partenza di mia sorella per l’America, dal matrimonio di mio fratello “rapito” dalla forte famiglia di sua moglie. Non l’ho fatto, mi sono rifugiata nella mia casa romana, mi sono stretta ai miei figli, ho cercato di governare le loro vite anche da adulti, come quando erano ragazzi, ho inseguito la carriera, ho cercato amici, sono stata invadente con tutti, tranne che con lei e ora pago la mia colpa, col vuoto incolmabile che mi è intorno, dopo la sua morte. Alla Maddalena è venuto anche mio marito, trascinato quasi contro voglia da me, in questa vacanza-esilio. I primi giorni, siamo stati soli noi due: lui era premuroso, attento ai miei desideri e mi seguiva, nei sentieri accidentati che io gli proponevo, alla ricerca di spiagge paradisiache che interessavano solo me. Dopo mezzora di faticoso cammino, quando ai nostri occhi si spalancava la visione meravigliosa di una cala nascosta, mentre io mi buttavo subito in quelle acque turchesi, lui si accasciava sulla sedia-sdraio, sudato, senza farsi nemmeno un bagno, a volte, ma soddisfatto per avermi accontentata. Ciò non di meno, la mia inquietudine lo ha perseguitato, ha continuato a chiedersi che cosa avessi, perché fossi triste e mai tranquilla. Sono così, purtroppo e so che un giorno, se lui dovesse mancarmi, avrò il massimo dei sensi di colpa. Povero mio compagno per avere una donna eternamente angosciata al suo fianco! E poveri figli miei, per avere una madre perennemente afflitta di non poterli avere vicini e sotto controllo! Povera madre mia per avere avuto una figlia alla quale invano ha tentato di fare da padre, oltre che da mamma e che invece per tutta la vita, ha cercato suo padre, senza trovarlo e ne ha sentito la profonda assenza, piuttosto che avvertire la profonda presenza di lei.
Ma torniamo alla Maddalena: non so se rivedrò ancora quest’isola, ormai mi rimane poco tempo e sono tanti i luoghi dove vorrei andare. La saluto per sempre, dunque, mentre mi allontano col traghetto verso Palau. Riconosco il Nido d’aquila e la casa di mio figlio addossata alla roccia, distinguo Caprera e le dico addio. Porterò con me queste immagini, in fondo al mio cuore dove mia madre ha un posto speciale e tutto in lei si sintetizza.


Un anno dopo
“E un fastidio mi ingombra la mente/ sì che più che mai son lunge da trovar pace o loco”.
Sono di nuovo a La Maddalena, ancora, nonostante i miei addii e i miei propositi. Stessa sensazione: una bellezza dolorosa che mi circonda, un senso di pena che ammala l’anima, un vuoto, una mancanza, un’assenza. La casa è diversa, poco distante da quella di mio figlio, ma quanto basta per impedirmi di stargli vicina e di avere sempre intorno le bambine. Ci incontriamo, loro mi stringono in un abbraccio affettuoso che mi rinfranca per alcuni momenti. Stiamo un po’ insieme. Poi raggiungiamo le nostre case, io entro con mio marito nelle piccole stanze e mi riempio di infinita malinconia. La mattina presto, raggiungo da sola la spiaggia di Nido d’aquila: l’aria è calda, il sole va e viene, ma il mare è stupendo come al solito ed io mi siedo a contemplarlo. Non ho voglia però di fare il bagno e ciò è strano e inconsueto. Non ho voglia di nulla, tranne che di un po’ di pace interiore. Quanto tempo mi resta? Quanto potrò dare? Per rispondere rubo un verso a Valery e lo rubo dalla lapide di Gian Maria Volontè, che si trova nel piccolo cimitero dell’isola: “s’alza il vento, bisogna tentare di vivere”.

Secondo giorno:solleverò le vele d’ombra?
Una pioggia leggera cade sulla Maddalena e ne vela il fascino. Un’aria grigia ci sovrasta e mi occupa il cuore. Niente mare oggi. Vado da mio figlio? Sì, più tardi, prima esco con mio marito, attraverso via XX settembre, giungo alla piazzetta, guardo annoiata le vetrine. Spio i visi dei turisti: sembrano tutti contenti. Andiamo a casa di Lorenzo: la famiglia è piacevolmente affaccendata. Le bambine sono alle prese con dei biscotti che vogliono fare da sole e impastano, pasticciano, litigano mentre la mamma tranquilla le lascia fare, con quanta pazienza! Con quanta tolleranza, diversa dalla mia costante nervosa impazienza! Forse è l’impazienza che mi ha rovinato, è stata ed è il mio principale difetto, grande ostacolo per chi comunque è costretto ad attendere, senza esserne capace. Non ho mai saputo aspettare e per la fretta di raggiungere i risultati, ho rovinato tutto. Guarda cosa ho fatto ai miei figli! Uno dopo l’altro, li ho pilotati durante gli studi, incalzandoli, senza dare loro tregua, finché hanno scelto una strada, l’hanno imboccata ed io li ho persi per sempre. Sento il loro fastidio nell’avermi intorno, perennemente preoccupata di cosa facciano, di come stiano, di dove vadano. Un giorno il mio figlio maggiore mi disse “stai alla finestra, mamma!”. Mi parve un insulto ed era invece un sacrosanto suggerimento. La finestra, invece, io l’ho scavalcata, per entrare nelle loro vite. Come mi pento! Ho ottenuto solo di rendere più vuota la mia. Amo davvero? Non so più che cosa sia l’amore, ma pretendo di riceverlo. Credo di essere una strega.
Terzo giorno: ma il sole fora le nuvole.
Va un po’ meglio! Devo reagire. Oggi il tempo sembra bello, andiamo a mare , nella spiaggia del Costone, che è riparata dal vento. Colori splendidi, dall’azzurro intenso sfumano nel turchese e nel blu profondo. L’acqua è gelida, ma io mi tuffo seguendo l’esempio di Antonella Anedda, che sa liberare i pensieri quando s’immerge e disperderli. E’ una sensazione piacevole, che ti fa sentire viva e ti fa avvertire la presenza di Dio nel creato, o comunque la presenza di un mistero inafferrabile e sacro in tanta bellezza della natura. Quando torno sulla riva e mi sdraio al sole, il cuore è calmo, non ho voglia di essere triste, né di pensare alla morte, né di compiangermi per l’amore perduto. Arriva mio figlio con le bambine e sua moglie, una nuora per me straordinaria, degna della biblica Ruth. Giochiamo a inventare una storia ambientata nelle rocce incredibili che si stagliano di fronte a noi sulla riva opposta di questa baia. Io inizio, poi mi interrompo e prosegue la più piccola, seguita quindi, a turno, dalle sorelline più grandi. E’ una storia a quattro mani e riesce benissimo, proiettandoci direttamente nella grotta che scorgiamo in lontananza insieme con una strega e un gabbiano a cui è stato fatto un incantesimo e poi nella villa dal tetto rosso che sbuca tra gli alberi sulle alture, dove vive certamente una principessa. Il cuore è sempre più calmo. Il vento s’è alzato, ma io sto provando a vivere.
Quarto giorno: Vento forza 10
Delusi e fiaccati dal vento, non c’è alcuna spiaggia praticabile. Il paesaggio è triste, con segni di stanchezza diffusi ovunque, il cuore ha ricominciato a far male, gravato da un peso. Mi visitano i miei fantasmi, sorridenti sì, ma sempre fantasmi; mi manca la loro reale presenza e ho un presentimento di doverli presto raggiungere. Perché sono così cupa? A sera la vicinanza delle bambine, durante la cena, mi restituisce speranza. Loro mi amano.

Quinto giorno: il vento non dà tregua

Cerchiamo una spiaggia riparata, Spalmatore. Qui le acque sono d’un verde turchese, la baia è piccola ed affollata; il vento non arriva. Mi bagno ed è bello nuotare. Nel pomeriggio raggiungo da sola la famiglia di mio figlio a Cala francese. Nel percorrere il sentiero sterrato, lancio un saluto in direzione della cappella della Madonnetta, raccomando mia madre, perché la vergine la tenga presso di sé. Arrivo alla spiaggetta: le bambine hanno scoperto sulla roccia una casa diroccata, forse uno stazzo, manca il tetto, sono rimaste solo le mura perimetrali, in una della quali c’è una finestrella che affaccia sul mare. Le bambine sono entusiaste, stendono gli asciugamani a mo’ di lettini e sistemano l’ombrellone,perché faccia da soffitto. Le lascio giocare e raggiungo mio figlio e la moglie. C’è pace, c’è una bellezza indescrivibile del posto, il mare è freddo, ma mi tuffo e raggiungo la casetta improvvisata, sbucando sotto la finestrella e chiamando a gran voce le nuove proprietarie. La giornata si conclude con tuffi spericolati di tutti dal moletto semidistrutto che si protende nella baia.

Sesto giorno : vento di Ponente
Oggi vado a Caprera con qualsiasi tempo, convinco mio marito e partiamo. Giunti nella pineta, ove ogni albero parla del mio eroe prediletto, seguiamo le indicazioni per la spiaggia dei due mari, ovvero Cala Portese: sabbia bianchissima, colori ineguagliabili, puro turchese. Mentre nuoto penso che questo posto sia la dimostrazione dell’esistenza di Dio. Torniamo a casa e a sera usciamo con mio figlio e la sua famiglia per andare alla locanda del mirto, sotto Guardia vecchia. La cena è rumorosa e chiacchierina. Ad un tratto la bambina più grande scappa fuori e rientra subito dopo chiamandomi: “vieni nonna, c’è un divano con tanti cuscini, qui fuori, proprio di fronte alla luna, così potrai finire di raccontarci la storia di Astolfo”. La seguo e ci sdraiamo in quattro sul divano, contemplando un’incredibile luna piena. Riprendo la narrazione di Astolfo che va sulla luna, in groppa all’ippogrifo, per recuperare il senno di Orlando. Proprio in quell’istante passa una nuvola di forma strana e le bambine gridano : “ecco l’ippogrifo!” . E’bellissimo essere qui con loro! E’ un momento magico, un dono straordinario! Che voglio di più?
Settimo giorno: e il vento non si riposò.
Santa messa nella chiesa dedicata alla patrona dell’isola, Maria Maddalena . Siamo qui insieme in un unico banco, seduti l’uno accanto all’altro. Oggi non pregherò per chiedere cose, come faccio di solito, ma per ringraziare. Prima mi confesso. Come si fa l’esame di coscienza non lo so. Mi inginocchio e parlo col sacerdote, non so che cosa gli dico, mentre mi scorrono le lacrime, ma lui ad un certo punto mi interrompe e mi dice: “lei è una figlia di Dio, chieda al Signore che cosa vuole da lei e prometta che farà tutto quello che Lui vuole”. Avrà frainteso? Ha capito che non sono buona e che ho in me tanto male? Non so, tuttavia esco rincuorata e mi accosto al sacramento. Se riuscissi veramente ad affidarmi al Signore, a riascoltare la sua voce, a capire ciò che vuole da me!
A sera cucino con le bambine nella mia casa il pesce e insieme lo portiamo nella loro casa. E’ l’ultima sera per me alla Maddalena. Ci salutiamo con la promessa che domani loro guarderanno la luna ed io farò altrettanto da Roma.

Giorno della partenza: nuvole senza vento
Dovevo partire perché il vento cessasse. Ci allontaniamo col traghetto mentre un senso di cupa tristezza mi invade. Saluto la curva flessuosa della costa, saluto la mia vita di questi giorni con le nipoti amate e con mio figlio e la mia Ruth. Non credo che tornerò, sì l’ho già detto altre volte, ma questa volta è diverso, non voglio ritornare, voglio lasciare qui i momenti belli vissuti nel calore di una famiglia, che in parte è nata da me, qui voglio lasciare i pensieri malinconici e lieti, le contemplazioni del paesaggio inquietante e stupendo dell’isola, le paure che ho avuto, la presenza che ho sentito di chi non c’è più, il sorriso delle adorate bambine, l’amore di mio figlio, per sempre fissato su questo profilo montuoso, sparso nelle acque dove lui si immerge. Io alzo la vela e vado via.


 gian piero stefanoni - 30/03/2015 19:32:00 [ leggi altri commenti di gian piero stefanoni » ]

Cara Anna Maria mi perdonerai se non termino la lettura di questo tuo, insanguinato, bellissimo dono.. Mi fermo all’incedere del tempo della dolenza delle ferite di mia madre a cui mi richiami, allo specchio di generazioni che si inseguono ma che spesso si perdono nel fraintendimento di dolori e solitudini cui poi non partecipano.. Non possiamo, non dobbiamo essere solo ricordo.. Ciao, grazie e buona Pasqua..

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