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al testo di Mariolina La Monica
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Il Figlio dell'Aquila
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Qualcuno un giorno ci rubò la via Lattea portò lontano dalla terra ogni piccola stella e rinchiuse mille ali nel petto d’ognuno -come sogni iridescenti, senza meta fissa nel tempo- da allora danzano diavoli ed angeli vaganti tra le dune e il brulichio dell'acque.
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Disse il figlio dell'aquila “L’autunno impazza bastarda l'aria, tenera come notte di luna. Ho chiuso la mia porta verso il chiaro stasera non più aliti di vento giù dal mare non più! Ti uccido aria non tornare. Ho voglia di chiuso della mia anima nera ho voglia di bestia stanca e di giaciglio."
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E lui impreparato al fosso e lui tra il pianto i semi ha trascinati. Vuota bisaccia porge alla sua luna freddo alla terra nel suo pianto amaro. Lui terra di fibre e corde macerate, un pugno chiuso che si secca al sole che pesa il cesto di suolo impantanato. Lui prigioniero che vive dei suoi echi che impenitente sfugge ad ogni senno credendo in ali d’uccello paradiso. Lui che c’è ancora intero per metà spugna corrosa da quest’eterno mare. Lui l’illusione, un involucro di stampelle ad ogni guado stese su ieri, sull’oggi, sul futuro. Lui canovaccio dalle mille fogge che sbatacchiando al vento sino in fondo picchia da dentro l’illimitato amore: quell’infinito ch’egli non trova qui che non si trova. “NON PIÙ DI TANTO NON PIÙ!”.
Lontano - nel paese dei re - chissà chi gioca sempre con le stelle?
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“Costretto tra la roccia come giaccio v’è un tempo amputato che ritrovo e a quando quella parvenza di vittoria? Anche sbrinata disciolta avviluppata nelle sue gramaglie. Da fuori il vento sibilante estende estende ancora vuoto. E sull’irto percorso un carro stride si spezzano armonie cembali piangono evoca l’antro un cumulo di ali e il tempo più non conta
eppure canta!”
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Ed il nido scompare, tutto scompare, scompare l'impronta di chi l'ha costruito e la frasca si perde: solo un solco dove poggiava resta. Là il figlio dell'aquila attende stupido attende senza saper più cosa. Non portate l'infinito sulle sue dure labbra non portate albe e scie mutevoli del giorno quando questo giace disperato in un angolo e poi a sera svanisce come un inutile fiore che giacque inutilmente per morire.
Domani è morte domani per chi vive son tamburi.
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"Sempre gli stessi uomo sempre uguali i gesti e le parole: al muro. Al muro bende sugli occhi e fucili spianati là sulla pianura. Dimmi chi regge le chiavi delle prigioni? Forse il despota diavoletto che inonda di duro queste rocce o forse la voce del crepuscolo che salta e balla?.. .. e trascina e trascina polvere e foglie".
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Sulle verdi vallate e campi, e strade, e casucce strette per paura s’accendono di festevoli falò alla vendemmia. Boccali colmi di risate e danze su danze si trascinano al buio - labbra color porpora trascinano il sorriso. Domani stanche ristagneranno in lui parole, canti, scherzi, risa, domani solo inseguirà fiele e carezze. Solo.
E ogni morte s’estende.
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“Non tornate colori soffusi e immagini nuvola in sorriso. Non aprite le valli e quando v’inoltrate nella notte spegnete il moccolo. Sul colle lasciate che il mosto riposi la sua notte e libero ogni aroma d'annegare nel fondo”.
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Raffinato apotema o solo un capriccio quel vivere che trascina i gesti già compiuti e i sogni immaginati sulla strada? Il fatto il dato il posseduto quegli intravisti voli d’acque chiare quel desiderato mai colto. O forse solo un battito che vibra? Pieno ritmico sfibrante simile per pensiero eppure frastagliato e diverso unico per ogni stagione della vita. Da dove vieni o vita e dove va poi trascinando quel fiume?
Ma scorre il fiume tra la traccia del greto ed il giorno non libera la notte e la nottata non si scinde dal giorno fusi e compatti baciano l'ombre. Vagano soavi l’aure e l’acque scuotono miriadi di forme l’erbe e i muschi e avvilimenti poggiano le falene dal moto oscuro che appare discordanza.
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"Vai corrente di cielo veloce dai fiato alle mie ali trascina il petto inoltra il mio becco nel vento illumina il mio occhio. Luce voglio luce sull'ombra spaccare ogni mia nube ascendere sino a sfiorar lontano. Un po’ più in alto un po' più in alto ancora e libero in picchiata affondare nell’azzurro. D'azzurro affogare questa tenebra. Solo esser solo sul tetto farsi grande da oggi espandersi ed abbracciare il mondo. Oggi che il petto è scarlatto di sangue oggi che il petto è un rubino prezioso."
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Ora zingaro ha il petto e l’alito sospeso gli ristagna gli vaga dentro insegue ogni suo volo come fornace d’alchimista antico un po’ per volta trasmuta ogni sentire. Disciolto d’oro d’amore e di veleno l’occhio rapace adesso osserva mesto quanto -là intorno ed oltre le montagne- v’è di più vacuo che prende in illusioni e intensamente fa pullular le piane.
Ma sul monte il figlio dell'aquila come sempre rapisce sul monte il figlio dell'aquila è già un mostro divino. Riecheggiano chiare le strilla del suo grido e solleva spighe e prati e cime innalza al soffio. Racchiudendo l'alba lucida negli occhi vola. Solo tesse fili nella trama dei cieli scia tra lo scuro e le sete d'azzurro e tentando sempre tentando, naviga tra i respiri.
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“Ma sorridere morendo e andare -andare contro il petto dilaniato- è niente sensa colpa. Il peggio è maledirsi cibarsi dei venti e del frascume che adesso solo bruma hanno per volto. La bruma -la lacrima non pianta alla grotta pipistrello aggrappata- la bruma affonda un dente nel mio cuore”.
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Non portate l’infinito sul suo duro becco non portare albe e scie mutevoli del giorno quando il tempo attende disperato in un angolo e poi con lo scuro svanisce incolmabile sempre. Domani è morte domani per chi veglia son tamburi.
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“Non si può vivere dell’ali e dell’ebbrezze non si può vivere senza una saggezza! Costruiamo la saggezza come muraglia ed argine ai funamboli come cancello a ogni brace sinistra e creiamo favole e tele per star nel guscio e non morire. Fantasmi stupidi fantasmi!”
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Nell'anima che parte egli ora porta respiro dolce e soffio di bufere profuma credo e vita profuma prati e steppe e cerca l’aria come sirena fa col suo canto ammaliante di rugiada. E picchia a scoprire terre picchia su ali grandi scivola irrompe resta alta con lui.
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"Ora che fuggo e chiamo il dolore gioia e ogni gioia il bagliore chiara contemplazione mio fiore punto predestinato già al mattino dove t' ho scordato? Lascia che io allarghi l’occhio a ogni momento è la finestra da cui intenso mi può inondar l’immenso è la finestra squartata del mio cielo”.
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E il suo giorno origlia il vento e bacia un fiore che tende all'infinito e il passo suo calca le sue ombre. Lui vive laddove il suo orizzonte si fa e si decompone: scomparso è il giusto attracco nei suoi occhi scomparso!
Ridategli il suo occhio sereno ed il suo nido e l'acqua chiara della fonte antica che lui la porti nella patria dei semi e delle zolle. Ridategli il silenzio limpido il respiro paziente e la carezza tenera del giorno che s'inoltra e s'abbandona nel sonno. Ridategli a navigare luce nella casa dell'oggi e del domani. Ridategli!
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“Ogni mattina a dare senso alla vita ogn'aquila vaga la valle setaccia la regione. Come me proprio come me prima quand'era il sole.
Ma oggi non caccerò oggi perlustro cime.. ..e la scure s'innalza”.
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Ma ha venti sulle voci d’altre ali laddove la compattezza è breccia è lo smalto è dritta via. Perché vagare ancora? Gli risuona perché affondare su terre ripiegate? Andare laddove il ghiaccio è il cristallino negare l’evidenze d’ogni attrito negar persino il finir delle stagioni portarsi laddove tutto resta crescersi mani pronte ad abbracciarti ridicoli piumaggi da buffone che ha bisacce di lune ed illusioni e là -come un logoro straccio alle divine corti- ridere, volare, saltare anche se nella mente ristagna ancora intenso l’antico odore di lavagna il profumo di un glicine
e la notte.
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"Vagante gelo brivido denso che incateni i fiumi tu non conosci tu leggi solo la traccia d'una mano. È quello il solco, è quello il tuo confine. Il dolore il dolore e la gioia han l'occhio tuo a barriera che prima di vedere ti confonde. Scivola il vuoto scivola l’immaginario scivola.
Ma cosa importa un'ala ognuno si libra nel suo cielo ognuno ha le sue pene e tutto gira ancora e girerà quel raggio risalendo la china arresterà i tamburi di morte. Vivremo sì vivremo degli sfarfallii dell’albe e dei tramonti vivremo di miriadi di luci ad adornar l'acque di boschi verdi e di fonti maestre. Domani stelle e immenso per noi da questo viaggio".
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Ma anche tra il gelo si rincorrono gli astri e solcano dirupi e piane, disperazioni e gaudi che bramano la parvenza d’una culla. Nulla si ferma perché tu non sei nulla si ferma per ritrovare un giorno quando a ogni giorno sudate cresci spighe. Con l’occhio colmo -stretto in troppo affanno- bramando pace scioglie in alti effluvi quel suo andante stracciato che ridesta le ortiche i gorghi l’ondulanti brine caldi tutti i risucchi del sublime. E si fa gemma di canti e di barlumi ne fa il suo fiume ne cresce mille vele lampare a raggio e sete su quell’acque.
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L'aria è assassina ma l’urlo della valle mi porta essenze di primavera a sera quando ogni alito si fa rosa sul fiato e argenteo è il cielo tanto esteso il chiarore che mille tenerezze avvolge agli occhi. Ora gli parlo al cielo delle sere modula i suoni raffina lo sgomento traccia i contorni di tutto il pianto che s’avvizzisce al chiuso dei mille volti costretti in un sorriso. Ora lo guardo il cielo delle nubi. Ora non parlo lascio parlar la notte. Ora percorro le inesplorate piste di quel pensare martellante e puro di quel sentirmi in un dischiuso enigma.
E asciutto l’occhio pozza stagnante il volto come da ceneri verticalizzo semi”.
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Ed ora è il Dio d’immenso che lo spinge. Tende lucente quell'arco della luna e come arciere di morti e di rinascite sulla lira del sogno, sul fondale più vero gli arma di chiaro la porta d’oro della nuova aurora. Ora in picchiata intensa ha la distesa ed al suo interno un mutamento ispessisce.
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"Palpita notte fatti grande lascia che le stelle siano occhi stesi lì ad estendermi il cuore. Togli il chiavistello notte ed aprimi al soffio della grande aquila che m'avvolga nella sua tenera piuma. Notte nera dura audace. Notte trina d’amore, nel consunto manto steso al confine estremo di noi stessi”.
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E lievi danzano i cirri, come i fiori baciano il cielo scivolano il tempo ed il suo azzurro splende sui silenzi sui passi stanchi mai è stato ucciso. Riacceso il senno dal morso del Più Grande appicca frasche e occhi puri alle stelle crescendo in acque di tramite immenso ed infinito.
E vedi pian piano un battito scintilla un po’ più oltre. Per te è un battito per lui è una fatica ed è così per ogni vita.
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“Ed ho veduto tanto e tanto più che tanto mi riportano gli occhi. Nel sorriso e nel pianto quanto colore e suono quanto dono! E tutto è stato dono le altre piume, le corde, il lungo occhio son stati beni a perdere. A che serve la voce se ti graffia se non ti reca un'erba da donare? A che ti serve? E sempre si posa il fieno e si flette nel vento come l'onda, nel bacio e nella furia riposa ovunque bagna.
Così riposerò come la brina, il vento?”.
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Sui segni suoi ogni tanto qualcuno si china raccoglie piume morte come un fiore poi lento le poggia in un paniere. Ogni tanto qualcuno si ferma alla valle del canto là dove dolori, gioie, gesti, voli son solo nuovi palpiti a stillare il silenzio. Là per chi sa stare al sole forse sono i fruscii che parlano i fruscii che insegnano che incidono sul passo e crescono figli che sulle loro voci creano dune.
Pulsano svolte fremono conquiste arie infinite alzano tra nubi.
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“Se fosse dato a tutti poggiar le ceste vuote al sole se crescessimo al sole se nutrissimo il sole!”
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Qualcuno un giorno ci rubò la via Lattea portò lontano dalla terra ogni piccola stella e rinchiuse mille ali nel petto d’ognuno però non mise briglie alle piene dei fiumi e caricò i venti ad inseguirle. Da allora -ad infrangere i limiti- tra quel sentore ogni tanto qualcuno si libra raccoglie strie di vite come semi e mestamente ne fascia i fiordalisi. Ogni tanto qualcuno -da coltri opache legate a doppio filo- s’accende aurore e sogna corde d’arpe. Ali d’uccello stringe ad ogni vento.
Qualcuno un giorno ci rubò… ogni tanto qualcuno, ogni tanto qualcuno, ogni tanto qualcuno
ogni tanto un fratello che ci sia.
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