È ancora d'oggi mio accudire - stando a me stessa come vuota eppure in un vibrato - il vento. E dico se non quello che non so - essere stata altrove, nel mito che confonde parco con eterno, i viali uno spavento d'ombre e meraviglia se i ricci velenosi dicevano "guai a te se mangerai la mia castagna" - le madri dolci parche con voci di sirene, riunite in cori di ovattate trombe chiamavano notturne - deposti i giochi come corone tra gli ippocastani, la corsa accesa di rinuncia, di nobile ritorno. Fervida notte aspettare il giorno. Non so di tutto questo il dio, non so dove il suo covo né ritrovare dentro i rovi la salita e la paura. So di un fruscio leggero, un cinguettio di stanze trasparenti nel calice dorato della sera - bagliori, ombre di una luce che era voce e tace in noi profonda.
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Nando
- 09/07/2014 09:31:00
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Molto bella. Lo stupore delle vigilie epifaniche. Bello ritrovarti, Prof., ancora oggi "innocente".
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Cristina Bizzarri
- 09/07/2014 01:05:00
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È vero Fanca, vero vero quello che dici, sia a proposito di Amina che pensa in poesia, sia dei commenti stra-vaganti (DinDon è Dino Campana!), e sia dell’infanzia: un tuffo lì rinvigorisce. Grazie e buona notte ormai!
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Franca Alaimo
- 09/07/2014 00:35:00
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Che commenti stra-vaganti, a parte quello di Amina che sempre, nel commentare, scrive altri versi sui versi, tanto ormai è abituata a pensare in poesia. Quanto a me, trovo bellissima questa poesia tutta intessuta di immagini e splendori e misteri catturati nell’età infantile, quando ancora le pareti trasparenti cinguettevano di voci bambine. Là nell’infanzia di una volta bisogna tornare per recuperare le radici della sapienza.
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Cristina Bizzarri
- 08/07/2014 22:29:00
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È leggere DinDon che mi fa bene alla salute... ;-)
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Adielle
- 08/07/2014 21:59:00
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Che bella! L’avvertimento dei ricci mi catapulta in una dimensione che avevo scordato di aver attraversato come un bosco la mattina presto mano nella mano di mio padre. Ciao Cristina, un abbraccio.
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amina narimi
- 08/07/2014 19:46:00
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ti immagino accudire il vento, come quella tovaglia di una volta che si alza tra le mani, ed io a metterti nei ripostigli della neve o dell’erba renna per ritrovarti sempre mentre accendi le corone ai giochi sugli ippocastani io calmo la tosse dei cavalli nello stesso nobile ritorno per ascoltare di quel fruscio leggero il celeste della voce che innalza ancora fiori al vento su quei rami come una spugna di purezza tra la "lenta viburna"- come bimbi vivi in cuore, che con amore ti chiedono amore- tacendo, come una stella polare mi emoziona sempre leggerti
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Lorenzo Mullon
- 08/07/2014 18:08:00
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< o fatico di aporia > o ti fai coraggio e mangi i ricci velenosi
da quando tre giorni fa sono stato punto da una medusa al Lido doli me tangere gene me tare
re
vedo dove prima non
rima
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Cristiana Fischer
- 08/07/2014 18:02:00
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meglio non diventare civette o gufi ;-)
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Cristina Bizzarri
- 08/07/2014 17:59:00
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Proprio così Cristiana. Solo lampetti e baluginii! Ho il vago sospetto che trattasi di persona non del tutto cresciuta ... :-)
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Cristiana Fischer
- 08/07/2014 17:55:00
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sei quasi la civetta di Minerva, che esce al crepuscolo, quando tutto è compiuto, ma la civetta conosce, tu invece rintracci appena qualche clue, o meglio qualche lampo di bagliori sconosciuti
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