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al testo di Elisa Mazzieri
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Coda di Lupo a contorno — e avresti approvato, chissà? suggerisce youtube
Sapevi abbastanza e molto, di questo, di altro e per amare un ragazzo per essere Frocio, Marxista, Indiano e risata da gay, quando c’era — schiarita tutta sdentata di naso aguzzo e occhio lesto
Di parola — lesta fuori abbastanza conforto per l’adolescenza rispecchiata, forse, in uno specchio uguale forse spavento, per l’adolescenza riscattata e senza impegni al banco casuale di un fervore a portata di parole
Andato via proprio a metà proprio al doppio delle star Tornato — da dove? il tempo per salutare e in mezzo niente curriculum riempito già da vecchio — il tuo curriculum — a trentatré anni e ti sopportavamo, per noi.
Nenia da Vecchio senza barba che spande senza recita la nenia di un libro, un passaggio irreversibile disguido, come Il Libro — che Libro? Farneticante Jolly che i tuoi compagni — di allora stupiti proprio ora Eppure noi che proprio allora, per niente coetanei e meno ancora discepoli eppure con noi che per noi era ovvio, il tuo tempo era nostro senza scarto.
Risata da Indiano che amava per scherzo ma sempre il ragazzo di un’altra e di noi era Compagno e di tutti
Unico Indiano che ti ho conosciuto risata da Mago pragmatico trickster bibitaro di domenica Compagno tutto l’anno
Condottiero senza Riserva che giace in famiglia zona arida-fucina di allontanamento
Allucinazioni da Veggente un roditore al posto del Papa* – e chi vuole capire, capisse – dicevi
La tua risata a denti rotti, Cochise Pazzo per niente
E una su tanti Una su pochi o tutti, alla fine Senza Riserva e onore curvo
Finito in gloria di ciance o pennelli, ai tuoi anni spariti avrebbero urlato ammiccanti testimoni appena nati — platee di “io c’ero” appena nati
E invece dove e come, con quale passo e che risate con che parole o dita tese e che metafore chissà? Che cosa hai fatto di quegli anni Chi lo sa?
Io so giusto di prima e so perché dicevi e ripetevi ripetevi come il Matto come l’Appeso
E che libertà Ora so! Cantarti mischiando Capitale e Grammatica Sicura — grazie a Te di essere ignorata Sicura.
Sicura e aperta come — Una — grata spalancata
Fiera di coraggio e non bestiame Fiera per gli accenti, accenni intenti Fiera e non esposta Ferma come una lenza armata
Ultimo Indiano sorriso sdentato respiro a metà E sei tornato Colpito Andato
Senza richiami
E allora sicura che sei, Tu, proprio morto e quando sei tornato sei tornato proprio là dove vivevo e vivo ancora e resto Là Dove ancora intontisce il miele delle sdrucciole più delle giuggiole e per organizzare un’Ode fra le sillabe interrotta da un probabilmente avverbio ci vuole giusto un po’ di tecnica un orecchio — uno dei due che non sia sordo
E voluttuosa e a mente sbaglio proprio perché sicura-mente Tu che anche nei sogni sei com’eri stato: Io sbaglio E tutta fiera mi sorrido addosso Tutta piena di affetto — come un morbo e tutta dissacrata, rido la tua risata folle — e tutta lucida come un oltraggio alla tua morte
Cinque estati fa, la tua morte Cinque anni almeno la tua dialettica sdentata perfetta sussunta insuperata gaia pensante Andata E altri ancora quindici nel mezzo Da bibitaro di domenica Compagno in altre Vie Indiano libero Da tutte le Riserve, libero Affacciato — Chi sa, sa dove Indiano non rivendicato!
Alla Memoria di Massimo, detto Il Cochise “Chi ha capito non s’ha da strani’, l’altri s’aripijassero” dedicata a chiunque. Frase pronunciata dal compagno, cui dedico queste righe a distanza di anni dalla morte. Frase trascritta letteralmente, alla romana, nei primi anni ’90 su una parte di una stanza dell’allora centro sociale *Hai Visto Quinto, meglio conosciuto come Sisto V, ora sostituito, come da previsione del Compagno Massimo, da un supermercato “e neanche da uno di una catena principale…” anche queste parole sue, e anche questo è vero (sostituito da un supermercato che porta il nome di un roditore). L’invettiva di Massimo, detto Cochise, era riferita a chi “probabilmente cavalcava la tigre dello sciovinismo piccolo borghese. Chi ha capito non s’ha da strani’ etc…” Un'altra scritta recitava "Il Cochise è vecchio, e c'ha trentatré anni". Io ne avevo quindici, poi sedici, poi dicissette anni... e così per un po'. Le scritte eranno in alto, tanto in alto: qualcuno di noi (non uso il barra "a" dato che sono certa sia stato qualcuno a farle e comunque, in quegli anni, la riflessione sul linguaggio sembrava una Thule e non la Conmpagnia delle Indie ) ritenne per scherzo di "trascriverle". Io personalmente, le citazioni del Capitale non le capivo. E a volte neanche tutto il senso, fino in fondo, delle riunioni fatte in una certa maniera. Allora. Tuttavia, quelle volte che "sto" nel modo giusto, che ricordo che va fatto "un giro di interventi" (ovvero espriamoci tutti/e dato che stiamo in teoria costruendo uno stare collettivo) e per la mia timidezza e, per quanto fastidioso, tutto quello che so su come guardare, sviscerare, svestire di accenti una parola e andare a vedere che significa e come "probabilmente compa' sto posto lo levano e ce fanno sopra un supermercato, uno scrauso compa'... hihihihi!!!" Per tutte quelle volte, ho Memoria. Ogni giorno.
Grazie a chiunque leggerà, qui, anche casualmente, anche e soprattutto comprendendo quanto sia molto lontana dalla Poesia. È una Memoria, non ho idea di come si scriva una Memoria. Né le capacità per farlo. Sapendolo fare, non la sprecherei in nessun luogo virtuale che richieda un pollice alzato. Massimo alzava, di rado, il pugno sinistro. Io, lo stesso.
Chi c’era l’hai trovato |
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