Tra le sterili distese di un’origine riflessa trascinava i silenzi di un’antica dinastia essere comparsa non è travestimento ora lo puoi dire il suo nome lo ricordo.
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Annalisa Scialpi
- 26/09/2022 21:08:00
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Mi piace questo fantasma che varca la scena,
o non è un fantasma?
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Fabrizio Giulietti
- 09/11/2021 19:20:00
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darlene e cris, grazie per lettura e preziosi commenti.
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cristina bizzarri
- 02/11/2021 08:25:00
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Chiedo scusa Fabrizio. Scrivo dallo smartphone e con il copia-incolla ho fatto un pasticcio: il mio commento si riferiva a "Radure" ma, forse per un meccanismo di sincronicità, mi sembra possa riferirsi anche a questa tua!
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cristina bizzarri
- 02/11/2021 08:21:00
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Un testo sapienziale e bellissimo, che definirei esoterico. A me sembra una "intimation of immortality" che passa attraverso necessarie, sofferte ma luminose iniziazioni, come strappi improvvisi che lacerano e nello stesso tempo arricchiscono la coscienza viva. Insomma, una riscrittura della nostra necessaria, evolutiva, misteriosa caduta.
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Darlene
- 01/11/2021 10:57:00
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Il titolo di questa poesia racconta già una storia. In un’unica parola intravediamo una o più persone che tornano nella propria terra dopo aver affrontato un’esperienza di guerra. La prima immagine su cui ci soffermiamo é quella dell’origine che, essendo appunto principio, non riusciamo a idealizzare come un elemento riflesso. Questa impressione è ulteriormente rafforzata dai riferimenti alle «sterili distese» con-tenuti nel verso iniziale. Si sviluppa così l’intuizione del ricorso a una finzione prettamente figurativa, di un’estensione concettuale diretta a svelare che l’inizio sta riflettendo la sua stessa fine, e che le distese, che ci rappresentiamo come spazi larghi, infiniti e spesso accoglienti, siano in realtà sterili e senza possibilità di rinascita. Seppur talvolta inondante di luce, il riflesso non è realtà. Ecco allora delinearsi una sorta di affresco intimista, una condizione interiore parallela che imprime un senso di insofferenza e di inadeguatezza verso i predecessori di «antiche dinastie», mentre un’analoga percezione di dispersione e sgretolamento sembra emergere in quei loro «trascinati silenzi», quasi a indicare mete segrete e inesplorabili sentieri. La seconda strofa ci dice molto sul nostro ruolo nella vita. Siamo comparse, sì, ma non travestimento, immagine indubbiamente di movimento ma che nella circostanza evoca forme statiche e stabilizzanti. Nell’allocuzione conclusiva ci si rivolge, infine, a un «tu» taciuto e imprecisato che, nel gioco di riflessi, si è tentati a identificare con l’autore stesso. É una chiusa che in parte allevia le tensioni e le inquietudini descritte in precedenza, sfumando in simbologie di equilibrio e rappacificazione con le «guerre» e i «conflitti» del passato. Oggi ci ritroviamo reduci, sopravvissuti, salvi, anche se solo come residui «di un’origine riflessa».
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