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al testo di Franca Alaimo
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Ha il respiro delle antiche cosmogonie l’ultima silloge (Angoli interni) di Roberto Maggiani, che, prendendo le mosse dalla narrazione della nascita del mondo, dilata il materiale poetico in ogni direzione, pur conservando un’efficace unitarietà d’insieme grazie anche alla limpidezza del linguaggio che come una luce meridiana illumina il suo versificare. E se da quelle lontane narrazioni derivano all’autore la stessa meravigliata curiosità e l’abbondanza di immagini sontuose, al progresso delle scienze si devono l’attualità del registro lessicale, la presenza di formule, la proliferazione delle ipotesi, la mappatura molto più ampia del cosmo visibile e invisibile. Al racconto biblico della Genesi rimandano, invece, l’idea della centralità dell’Uomo (intelligenza, creatività, parola), così come l’ipotesi della presenza (oltremodo dubbiosa e sfaccettata) di un Dio che sembra delinearsi, ogni volta che fa il suo ingresso nei testi, dallo sfrigolio delle due opposte dimensioni della razionalità e della irrazionalità. Se infatti l’ipotesi di un Dio creatore appare non necessaria alla Scienza, la sua esistenza sembra rispondere ad un bisogno così intimo d’amore e di proiezione oltre la morte, da sconfinare nel grido accorato di Cristo sulla croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?” L’autore, infatti, pienamente consapevole di questa sfasatura tra pensiero e sentimento, che però non determina mai alcuna oscurità interpretativa grazie all’uso di costruzioni semplici e lineari, scrive di volere raccontare il reale e arrivare al dunque/ tra il come della scienza/ e il perché della fede/ nell’aria di un poema. E molto mi piace che egli parli di struttura poematica della sua silloge, poiché essa, specie nelle prime sezioni, si snoda narrativamente secondo un iter temporale progressivo: dalla nascita dei primi mattoni della vita all’evoluzione delle specie fino alla comparsa dell’Homo sapiens, per giungere alla complessa realtà odierna caratterizzata da questioni spinose, come una nuova forma di razzismo, la strage degli extracomunitari e una egoistica, dilagante indifferenza, alla quale l’autore oppone tutto lo sdegno del suo animo: Impazzisco all’idea di quanto male/ c’è nel mondo e ancora: Niente dovrà starmi vicino/ soffrendo il male della mia presenza. Eppure, la concezione del tempo, che sorregge la struttura della silloge, non è affatto lineare: il passato, infatti, come accade agli alberi che serrano in cerchi sempre più larghi la memoria della loro esistenza, talvolta millenaria, sembra riscriversi in ogni nato, quasi che l’uomo sia un testo aperto in cui accanto al già detto, ai saperi già accumulati, al tempo dei morti, debba essere scritto tutto il nuovo da tramandare alle generazioni a venire. Così che il passato non solo regge il presente, ma s’infutura; e mi viene in mente, a questo proposito, la silloge di Tiziano Fratus, Poesie creaturali, in cui, fra gli altri, si può leggere questo bellissimo verso: il futuro è più antico del passato. E anche quando l’obiettivo si restringe all’individuo Maggiani, alla sua vita, ai suoi affetti, solo apparentemente l’architettura poematica di Angoli interni subisce un’involuzione, perché quell’io, nel momento in cui si identifica con il noi (Riconosco questo universo/ dalla canzone d’amore-morte/ che il coro dell’umanità/ canta fin dagli albori), dà voce a tutti i sentimenti universali, come la paura della morte, l’incanto di fronte alla bellezza della Natura, la speranza di un oltre in cui sopravvivere e ritrovare le persone care, il mistero del bene e del male, e soprattutto la fame d’amore. Certo si potrebbe osservare che la personalità di Maggiani sia più complessa di quella di un uomo comune, in quanto mette insieme (come il poeta latino Lucrezio ed il contemporaneo Bruno Galluccio) la lucida razionalità dello scienziato e l’intuizione lirica del poeta, la non sistematicità della fantasia e la sistematicità della ragione, e però è da questo connubio che deriva quell’oscillazione fertile tra assoluto e reale, tra arcano e quotidiano; è su questa soglia che appare Dio, che crea senza sosta le forme della vita, intanto che gli si affianca il poeta per custodirle e salvarle, lui che raccoglie/ tutto il Cosmo in un solo verso. Ne consegue che, in quanto creatrice, la parola della Poesia accampa la sua superiorità sulla parola della Scienza, che studia il cosmo, ne svela poco a poco i segreti, ma non saprà mai rispondere ai numerosi perché dell’uomo, né garantire la verità ultima. Se una parola-chiave va cercata nei tanti testi di Angoli interni è Amore, declinata in ogni sua possibilità, a cominciare dai legami fra gli elementi invisibili del creato a quelli parentali (in questo senso vanno letti i delicati quanto intensi testi dedicati ai genitori e al nipote Pietro), dai rapporti sentimentali di coppia alla gestualità (descritta senza reticenza alcuna) del rapporto sessuale, se è vero che il corpo dell’uomo, come già nel Rinascimento, si colloca per l’autore all’interno dell’energia cosmica, della sacralità del Tutto e perfino della nostalgia di Dio: Ci sarà posto sotto le mani di Dio?/ ho bisogno di essere toccato – sempre. L’Amore è, infatti, la parola che più di ogni altra si incarica di dare orientamento e senso, e come già Dante nell’ultimo canto del Paradiso (Nel suo profondo vidi che s’interna/ legato con Amore in un volume/ ciò che per l’universo si squaderna) anche Maggiani la usa come il filo rosso che lega insieme tutte le creature, persuaso che da essa muovano il perdono, il rispetto della fragilità, la comunione con gli altri. Il poeta, anche in questa sua ultima prova, resta coerente con le sue tematiche di fondo e con l’esperimento non nuovo, ma certamente non molto praticato, della commistione del linguaggio scientifico con quello lirico; il tono è pacato e coinvolgente, la sensibilità etica sempre molto viva: tutto questo fa sicuramente di Maggiani uno dei più significativi e riconoscibili autori contemporanei.
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