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La manomissione delle parole

Pochi libri hanno la capacità di affabulare il lettore e convincerlo di quello che dicono dalla prima pagina all'ultima, da lasciarlo addirittura senza fiato, per la sua sconvolgente autorevolezza. Spogliato qua e là di qualche marcata presa di posizione che non cambia l'indirizzo etico ed estetico del saggio, il resto è tutto un rincorrere concetti, di cui abbiamo perduto il senso, che Gianrico Carofiglio recupera e ci omaggia di una chiave di lettura più vicina a noi, al nostro tempo, alla società attuale che, sempre più, si perde nelle concatenazioni superate e fittizie della politica. Nell'economia del libro, infatti, la politica è nelle cose, negli atti, così come nei pensieri e addirittura nelle parole divenute "sconvenienti" perché - come scrive l'autore - manomesse in funzione di qualcos'altro che non è il terreno originario per cui sono state coniate. Inutile dire che qualcosa non funziona in questa società (che ricordo abbiamo costruito noi), in questa democrazia che, pure, ci siamo dati noi. Qualcosa certo non deve aver funzionato a dovere se stiamo ancora qui a sbattere la testa contro il muro, dopo aver affrontato ogni argomentazione per milioni di volte, esserci fatti propositi, aver fatto promesse (a noi stessi prima che agli altri), se poi siamo rimasti più o meno quelli che eravamo un secolo fa. Viene da domandarci a cosa sono servite tutte le guerre se ce ne sono ancora in corso? Tutti gli incontri al vertice (G8 - G10 - G20 e quelli sulla fame, sull'ecologia, sul nucleare, sul salviamo il mondo) tra le nazioni, se tutto rimane come è sempre stato, anzi peggiora di giorno in giorno? Tutto questo per pensare in grande per quanto riguarda la comunità, l'intera umanità, ma che succede se per un istante ci inoltriamo nel "labirinto" di noi stessi, noi intesi singolarmente come entità pensante e giuridicamente responsabile? Come accade nel Paradiso Perduto di Milton "siamo fregati", o ci hanno fregati? No, la verità è insita in questo saggio che non vuole essere il verbo, bensì ricondurci dentro una realtà, e oserei dire dentro una verità scontata, antica quanto il mondo: ci siamo fregati da soli. Ovviamente l'autore non si esprime in questo modo pedestre, vola più alto, ma seguirlo non è affatto pesante, anzi vola leggero nel restituire alle parole un senso che dovremmo far nostro. "Mi è difficile definire la natura di questo libro che verrà classificato come un saggio (e in un certo senso lo è), ma tengo a dire che, per me, è soprattutto l'esito di un gioco di sconfinamenti. Un'antologia anarchica. Una ricerca di senso, anche, soprattutto attraverso le parole e le pagine di altri, da Hannah Arendt a don Milani, da Aristotile a Bob Dylan, da Goethe a Gramsci, fino alle pagine esemplari della nostra Costituzione". E ciò che egli vuole dirci è che dovremmo re-incominciare a chiamare le cose con il loro nome, ripensare il linguaggio come un gesto in prospettiva che vada verso il futuro, "immaginare una nuova forma di vita".

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