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Un faro nel tunnel

 

Accadono cose a volte che stravolgono totalmente le esistenze delle persone coinvolte. Così successe a Elisabetta in quel giorno in cui suo marito e il suo unico figlio morirono fatalmente in un incidente d’auto. Tre furono in realtà le vite stroncate in un unico giorno. Elisabetta si spense completamente nell’anima ma non nel corpo e il suo corpo continuò a vivere distante da essa. La sua esistenza divenne priva di qualsiasi altra gioia o nuovo dolore. Continuò a svolgere il lavoro di prima e nello stesso modo. Non si evidenziavano mancanze da parte sua: sempre precisa ed efficiente. Poiché reputava eccessivo per lei sola lo stipendio percepito, ne spendeva la metà in generi alimentari o indumenti per la Caritas del suo paese. Ma non prendeva parte alla preparazione o distribuzione del cibo ai poveri. Sentiva di non riuscire più ad accettare nessun tipo di contatto umano. Non riusciva a emergere dal tunnel in cui era caduta.

Era la vigilia di Natale e si recò il pomeriggio presto al centro commerciale da dove uscì col carrello pieno di cibo. Faceva fatica a spingerlo. Aveva il portafoglio in mano e, non appena si trovò fuori all’aperto, si sentì pervasa dal freddo gelido. Le temperature erano sotto zero, fatto insolito per il periodo e per un posto di mare. Aveva le mani gelate e perse il portafoglio senza neppure avvedersene. Un bimbo solo osservò la scena e con timidezza, dopo averci pensato per un po’, lo raccolse, la raggiunse quando lei era ormai vicina alla sua macchina e glielo restituì. Elisabetta lo guardò solo un istante, mentre prendeva da quelle mani il portafoglio, farfugliando un grazie quasi impercettibile e guardandolo solo di sfuggita in viso. Poi caricò le borse sull’auto e passò a lasciarle alla sede Caritas. Rientrò a casa propria dove l’attendevano solo i ricordi di un passato ‘presente’ in cui era rimasta imprigionata. Trascorse quella sera come tante altre e infine andò a letto al solito orario. Il suo fu un sonno molto agitato, perché la sua coscienza iniziò a rielaborare l’episodio di quel pomeriggio e tutti quei particolari, passati inosservati sul momento, si accesero e divennero chiari.  Si rivide davanti al centro commerciale e c’era il bambino che le si avvicinava per restituirle il portafoglio. Lo guardò solo allora in viso e vide i suoi grandi occhi neri, enormi in un viso smunto e sofferente. Notò gli indumenti strappati e inadatti a quel clima così freddo. Poi si svegliò e fece colazione sempre con quell’immagine ben fissata in mente. Era la mattina di Natale  e in televisione davano un telefilm sul tema. Una profonda tristezza la pervase. Spense e accese la radio. Trasmettevano il radio giornale e il giornalista stava parlando di un bambino di colore trovato morto davanti al centro commerciale. Le cause sembravano essere la denutrizione e l’assideramento. Dalla descrizione comprese che si trattava del bambino che le aveva restituito il portafoglio.

Uscì di casa in preda alla disperazione, sentendosi colpevole come un’assassina perché non aveva voluto vedere. Si rendeva conto di essere diventata una persona arida e insensibile. Vagò a lungo presa da un’angoscia che le faceva mancare il respiro. A un certo punto si trovò davanti alla porta della Chiesa e per qualche oscuro motivo varcò quella soglia. Il prete stava celebrando la messa di Natale, ma per lei non c’era Natale. Tutti erano là, dentro la Chiesa, in silenzio a pregare. Poi si inginocchiarono quando il prete passò al rito della Comunione. Fece altrettanto, automaticamente. C’era tanta convinzione apparente in quei gesti così consueti per chi in Chiesa ci va sempre. Ma per lei no! Non c’era un senso. Eppure prese anche lei a recitare insieme agli altri: “ Oh Signore, non son degno di partecipare...” A questo punto scese il silenzio e restò solo la sua voce a riecheggiare solitaria nella Chiesa. Tutti si voltarono verso di lei e urlarono: “Taci peccatrice, assassina. Certo che non sei degna.” Anche il parroco scese dall’altare, andò verso di lei e le disse: “Devi uscire da questo luogo sacro, peccatrice!”

Allora iniziò a piangere e a chiedere perdono, ma restarono tutti impassibili e anzi lentamente quei volti iniziarono a diventare sempre più sfocati. Solo il dolore permaneva vivido. Si svegliò di scatto e si trovò nel buio della propria stanza immersa nel sudore. Il ricordo del sogno non era svanito, come non lo era quello del bambino. Erano le tre di notte. Si vestì frettolosamente mossa da un presentimento causato da quel sogno e uscì di casa. Salì in macchina e, senza neppure fermarsi a pensare,  guidò per quelle strade buie finché vide le luci del centro commerciale da lontano e si diresse verso di esse. Fermò la macchina in prossimità dell’ingresso e percorse a piedi la facciata principale da un angolo all’altro, guardandosi intorno. Il freddo intenso le faceva battere i denti, mentre incredula si domandava perché era lì. Ebbe ella stessa il serio dubbio di aver perso totalmente la ragione e ogni contatto con la realtà, a causa della grande solitudine in cui era ricaduta negli ultimi anni. Finito di percorre la facciata principale, girò l’angolo e si inoltrò lì su uno dei lati meno illuminati. Vicino ai bidoni dell’immondizia, riuscì appena a scorgere un fagotto per terra sopra un cartone. Si avvicinò e lentamente quel fagotto prese le sembianze d’un bambino. Quando si avvicinò lo riconobbe, era proprio il bambino del portafoglio. Lo chiamò ma quello non si mosse. Comprese che stava male. Chiamò allora il 118 e, nonostante fosse la notte di Natale, sopraggiunsero dopo solo pochi minuti. 

Quella notte due furono le vite salvate, quella del bambino del portafoglio e quella di Elisabetta che grazie a questo evento riuscì a riemergere dal tunnel in cui si era vista sprofondare.

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