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Giuseppe senza cognome

Stava camminando da un po’ lungo quelle strade che gli erano ormai familiari. Erano quasi deserte da cui si poteva dedurre che fosse mattino presto, mentre la fitta nebbia, che offuscava tutto, impediva di orientarsi in base alla posizione del sole. Gradualmente però, mentre lui continuava a camminare, la nebbia andava diradandosi e tutto intorno iniziava a schiarirsi. Giuseppe non pensava a nulla, era l’abitudine a condurre i suoi passi. Ogni domenica mattina era solito attraversare tutto il paese, partendo da casa e facendovi ritorno, perché sapeva che il camminare poteva recare giovamento tanto all’anima quanto al corpo. In totale erano dieci i chilometri che percorreva ma quella volta non sentiva la solita fatica. Quando si ritrovò in prossimità della piazza dei Caduti, si rese conto di avere già fatto ben otto chilometri. Le abbuffate delle feste non erano riuscite, probabilmente, a metterlo fuori forma. Stava per passare dinanzi a uno dei muri della piazza dove venivano attaccati i manifesti funebri, quando intravide una sagoma provenire dalla direzione opposta alla propria. Quando la distanza si abbreviò a sufficienza, distinse nitidamente l’uomo che indossava un cappotto elegante e un cappello. Fu allora che riconobbe in quello il senatore De Luca, la persona più influente e rispettata del paese, che aveva visto qualche volta in televisione o sui manifesti elettorali o a qualche comizio in piazza, ma mai incontrato di persona. Strano vederlo quella volta in giro per le strade del paese giacché trascorreva la maggior parte dei suoi giorni nella capitale ma più strano gli sembrò vederlo sostare dinanzi ai manifesti! Si avvicinò ulteriormente e poté scorgere sul suo volto un’espressione mista di malinconia e compiacimento allo stesso tempo. L’altro dal canto suo sembrò non notare affatto la sua presenza. Giuseppe lo salutò in modo quasi ossequioso e quello rispose con un brevissimo cenno della testa, senza neppure voltarsi a guardarlo in viso.

Il rombo di un motore distolse poi la sua attenzione. Un furgone si fermò a qualche metro da loro e quasi non li investiva entrambi.

«Guarda tu questo disgraziato come guida! Con questa nebbia poi! Quasi ci investe!»

Il senatore invece non si scompose per nulla. Giuseppe notò che il furgone era di quelli del servizio delle pompe funebri, venuti ad attaccare qualche manifesto nuovo. Erano in due e scesero dall’auto senza guardarli. Giuseppe non li conosceva di persona ma farfugliò un «buongiorno» di circostanza, così come era abituato a fare per educazione. Non ebbe alcuna risposta però. 

Il senatore sembrava non curarsi affatto né di lui né degli ultimi sopraggiunti. Questi rabbrividivano per il freddo nonostante fossero totalmente coperti fino al naso dalle sciarpe e portavano i cappucci tirati fino a quasi coprire gli occhi. Giuseppe invece non avvertiva freddo e neanche il senatore, sempre impassibile dinanzi ai manifesti.

Giuseppe fu incuriosito dal fatto che egli continuasse a guardarli con tanto interesse e si fece più vicino per leggerli a sua volta. Si stava chiedendo chi fosse deceduto recentemente degno di tante attenzioni da parte del senatore De Luca, che non ricordava di aver mai incontrato a nessun funerale in paese. Quando aguzzò la vista, lesse su uno di quelli:

Ci ha lasciato prematuramente all’età di 75 anni circondato dall’affetto dei suoi cari 

il Senatore Enrico Filippo Mariano De Luca

Ne danno il triste annuncio la moglie, il figlio, la figlia e i nipoti tutti. I funerali si terranno nella Cattedrale di Maria Santissima delle Grazie alle 11,00 del 3 gennaio.

Giuseppe restò sgomento e lo fu ancor di più quando, guardando la parete, notò che tutti i manifesti lì affissi erano per il Senatore. 

‘Morto? E quando? Possibile che non ricordi di essere stato al suo funerale, che mi sia sfuggito l’evento! Forse un suo parente, cugino, di cui io ignoro l’esistenza?’

Pensava questo tra sé e sé, ma il senatore parve udire addirittura i suoi pensieri a giudicare dal gesto di stizza che fece girandosi a guardarlo per un breve momento, sufficiente a fargli comprendere un certo disprezzo nei propri riguardi. Forse perché non conosceva il tale di cui si annunciava la morte?

«Questi li leviamo tutti?» disse parlando a voce bassa il più giovane dei due scesi dal furgone.

«Lasciamo almeno quello del lutto cittadino. Lo toglieremo al prossimo giro. Il senatore ci teneva a essere omaggiato. Non facciamogli questo torto!» disse sardonicamente quello più anziano.

«Però, che morte triste! Si dice che volevano ucciderlo anni fa a Roma e invece è morto per un incidente d’auto nel suo paese!»

Giuseppe allora domandò rivolgendosi proprio al senatore:

«Ma chi era Enrico Filippo Mariano De Luca? Forse un suo parente? Un cugino? Io non sapevo della sua esistenza! E poi anche lui senatore?»

«Taci, idiota!»

Ricevette solo quel breve insulto dal Senatore e poi nulla più.

I due intenti a togliere i manifesti non gli risposero affatto.

Giuseppe allora commentò con un po’ d’ironia: «Mi stavo chiedendo, illustre senatore, che effetto faccia vedere il proprio cognome scritto a caratteri cubitali e posto all’attenzione di tutti, anche se questo piacere lei l’avrà ben avuto già in passato, sui giornali ad esempio.»

«Idiota!» replicò di nuovo il Senatore.

«Mi scusi senatore, scherzavo, naturalmente. Non era mia intenzione offenderla.»

In tutta quella situazione, a parte l’indifferenza a tutta la discussione dei due che mettevano i manifesti, ad impressionare Giuseppe erano gli insulti fuori luogo, secondo lui, che De Luca gli stava rivolgendo. 

Quando i due ebbero finito di togliere tutti i manifesti vecchi, quello più anziano disse all’altro:

«Prendi la colla che attacchiamo i nuovi manifesti.»

E così mentre il ragazzo spalmava di colla la parete, l’altro posizionava i manifesti con una precisione da maestro. Giuseppe leggeva via via i nomi: Pina Nunzio anni 95, Giorgio Bianchi anni 87 e poi quando stavano srotolando il terzo manifesto, il ragazzo disse: 

«Questo chi era? Sai che non lo conosco!»

«Questo è l’uomo che è stato investito dal senatore De Luca la notte di Capodanno.»

«Sì, questo lo so, ma non ricordo chi fosse. Forse non l’ho mai conosciuto!»

Giuseppe incuriosito da quelle parole si sporgeva cercando di leggere il nome stampato sul manifesto senza però riuscirvi. L’uomo continuò:

«Era un poveraccio venuto qui da un altro paese, uno senza passato. Era giunto in paese vent’anni fa e si manteneva facendo dei lavori qua e là come bracciante agricolo. All’inizio dormiva per strada, poi in una casa messa a disposizione dal comune. Si dice che avesse perso la memoria e per quanto abbiano cercato di risalire alla sua origine, non ne sono mai venuti a capo. Neanche io lo conoscevo molto, ci si salutava però quando ci incontravamo ma nulla di più. Sai in questa tragedia qual è la cosa buffa?»

Giuseppe, sempre più curioso, aguzzava la vista ma non riusciva ancora a leggere il nome.

«No! E quale sarebbe?»

«Sembra che in realtà il senatore sia stato colto da un infarto, forse dovuto allo spavento per aver investito il poveraccio, piuttosto che il contrario. Dicono che questo venga dimostrato dalla brusca frenata dell’auto, in quanto se avesse avuto prima l’infarto, non avrebbe mai potuto avere la forza di frenare dopo.»

«Che storia incredibile! E questo poveraccio dopo essere stato investito è rimasto in coma per settantadue ore prima di morire?»

Mentre pronunciava queste parole, il ragazzo srotolò completamente il manifesto e aiutato dall’altro lo fece aderire alla parete dove aveva in precedenza spalmato la colla.

«Non aveva nessuno? Nessuno che ora possa annunciare la sua morte? Nessuno che lo piangerà e raccoglierà il cordoglio della cittadinanza? Nessuno leggerà un elogio funebre al suo funerale?» esclamò il ragazzo.

«Purtroppo no! È la famiglia del senatore che ha deciso di occuparsi della cerimonia funebre, forse perché si sono sentiti responsabili in un certo senso della sua morte. Il loro padre non c’è più e loro hanno voluto rendergli giustizia in questo modo.»

«Giuseppe!» disse ad alta voce il ragazzo. «Si chiamava solo Giuseppe!?»

Giuseppe spalancò gli occhi, aguzzò la vista.

GIUSEPPE 

C’era scritto solo un nome, Giuseppe, su quel manifesto, non un cognome e non venivano citati i familiari di quel defunto.

«Che tristezza! Che miseria! Solo Giuseppe, neppure un cognome aveva questo disgraziato? Niente gli aveva dato la vita? Nessuno ora lo piangerà? Nessuno?»

Aveva urlato per lo sgomento così forte Giuseppe da pensare che l’avessero sentito ovunque nel paese ma i due delle pompe funebri rimasero impassibili come se non l’avessero udito; continuavano a parlottare tra di loro delle loro faccende. Solo il senatore gli rispose:

«Silenzio idiota! Cosa gridi? Chi vuoi che ti possa sentire se sei morto?»

«Morto? Io morto?» Fece una breve pausa e poi replicò: «Io? Morto? Quando? Perché sono morto?»

«Perché eri un idiota che se ne andava in giro la notte di Capodanno mezzo ubriaco per le strade del paese a sfidare il destino e per colpa tua sono morto anch’io!» gli rispose il senatore.

Allora il poveraccio ebbe un sospetto e lo manifestò tale e quale:

«Sono io quel tizio scritto là sopra? Io quello senza cognome che non riceverà le lacrime d’un familiare?»

A quel punto il senatore, che era rimasto per tutto il tempo fermo nel suo contegno di persona illustre e distinta, al pari di quello che era stato in vita, sbottò improvvisamente in una risata fragorosa che forse riuscì a giungere persino alle orecchie dei due viventi lì presenti. Infatti quei due avevano improvvisamente smesso di parlare, girandosi di qua e là, come alla ricerca di qualcosa. Fu solo per qualche secondo però e poi tutto tornò come prima. Finirono di mettere a posto l’attrezzatura e, prima di andar via, il più anziano disse: 

«Comunque sia, almeno ora questo tale senza un cognome avrà almeno da morto un po’ di attenzione da parte di tutti che si fermeranno a leggere il manifesto.»

«Ho avuto un’idea! Scriverò la sua storia. Un romanzo. Lo intitolerò Giuseppe Senza Cognome. Nessuno si dimenticherà più di lui.»

«Ma dai! Uno scrittore tu?»

«Sì, è quello che farò.»

Giuseppe sorrise soddisfatto.

«Ridi, ridi....Che te ne importa, ormai è tutto finito e poi vuoi questo? Passare alla storia come lo smemorato del secolo? Diciamoci la verità: smemorato eri in vita e smemorato sei rimasto pure da morto! Comunque da questa parte, se non l’hai ancora capito, non ti serve a nulla tutto ciò. Queste sono peculiarità terrene. I vivi che si attaccano a ogni cosa per sentirsi immortali. Ma, una volta che s’oltrepassa la soglia che separa la vita dalla morte, tutto finisce nel dimenticatoio, prima o poi: nome, cognome, indirizzo. Tutto! Questa è la sorte che tocca a tutti! Possono attaccare diecimila manifesti per il paese, spendere milioni di parole , versare fiumi di lacrime, ma non servono a te che sei morto. Sono cose che appartengono ai vivi che hanno bisogno di continuare a vivere, sentendosi protagonisti. Noi il desiderio di protagonismo l’abbiamo già perso. Io me ne sono già reso conto! A questo punto quel tale, che rispondeva al nome di Giuseppe, potrei essere stato io o io potrei essermi chiamato Giorgio Bianchi o Pina Nunzio. Non fa nessuna differenza!»

Così dicendo si immerse in quel banco di nebbia che persisteva poco più in là e scomparve. Giuseppe lo seguì dapprima solo con lo sguardo, ma successivamente prese la medesima direzione, non prima di aver dato un ultimo sguardo al manifesto su cui stava scritto il proprio nome o quello con cui era stato appellato da quando era giunto nel paese di S.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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