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Avevamo visto giusto
Siamo tornati al caldo dei corpi e così abbiamo afferrato quanto ci stava sfuggendo, la forza d’amare la sete nuotando nell’acqua.
Siamo tornati violando i posti di blocco le guardie drogate di carabine, il corteo di notti all’addiaccio, l’escursione termica di chi percorre da solo il deserto nei sottopassi delle stazioni.
Trieste ci trafisse col suo chiarore di pietra istriana e sull’autobus n.9 ci sfioravamo come antilopi acerbe mentre il mondo ci spronava a cercare l’usciere dei nostri vent’anni.
Avevamo visto giusto attraverso la miopia degli anni Novanta, e adesso che siamo al caldo sentiamo la brina evaporare e gli angeli di Berlino spogliarsi sul lungomare dei fianchi flessuosi.
Avevamo visto giusto anche se la mente indossava il suo colbacco di nebbiolina e gli intercity ci spingevano a tralasciare le stelle tuareg.
E adesso che siamo al caldo restiamo appesi ai giorni come rondini foriere.
Senza fissa dimora
I bambini ti cercano in cielo fanno un asterisco sopra la nuvola e nelle note a piè pagina, sotto l’erba irlandese, scrivono casa di Dio.
Anche i vecchi e i soldati rimasti a ritirarsi nelle pianure, incalzati dal gheppio del buio, innalzano al cielo le mani macchiate, i contorti fucili, per convocare nell’ampio silenzio una voce di tregua.
I sapienti ti cercano nell’evidenza dei libri ispirati, nell’eco dei passi dei tuoi profeti a gloria del mondo. Ti cercano fino al distacco della retina sul limitare dei romitori, sul biplano di luce di una basilica, nel deserto più impervio della rinuncia o sulle sponde dei templi invasi dall’acqua; ti cercano illeso nella tempesta e ferito nella bonaccia.
Ti cercano come l’Invisibile Armata ma tu non compari nelle foto ricordo dell’universo e continui a evitare le piaghe da sonno del firmamento. Ti sfili dalle mappe e dai telescopi sbucando fugace nei cantieri dell’alba attorno al bivacco di un cuore pastore nell’alveo segreto del fiume stupore.
Tornare ai volti
Viviamo in tempi di pochi osanna una congiuntura di tacite mondine che non sanno più cantare e ripetono a memoria il dialetto del recluso. Continuamente inciampiamo sui curvi sfollati, sui denti mancanti dei poveri offesi, sui sogni partoriti dalle atomiche tattiche, sui palpiti elettrici sparpagliati a dismisura come arcieri predisposti a colpire il cuore interno. E in questo convoglio intirizzito crescono le cellule dormienti gli imbianchini della storia gli esercenti che amministrano i corpi assiderati con cinture di fuoco altamente esplosive.
Per questo a noi non resta che cercare un nuovo inizio prima che la polizia mentale compia il suo mandato e divida il mondo in tante opposte caste.
Tornare ai volti accorsi nella luce differente, tornare appresso alle ostetriche degli occhi, ai porti alati delle bocche, ai chicchirichì del cuore.
Tornare ai volti, rincasare.
[ Poesie vincitrici della IV edizione (2018) del Premio Letterario Il Giardino di Babuk - Proust en Italie | scarica gratuitamente l'e-book del Premio: www.ebook-larecherche.it/ebook.asp?Id=229 ]
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