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[ Recensione di Simone di Biasio ] Moravia non è morto, ecco il suo De amicitia Dagli atti di un convegno a Sabaudia il volume delle Edizioni Sinestesie che smonta il “clan Moravia” e ricostruisce i suoi rapporti più veri “Per essere amico di qualcuno ho bisogno di due requisiti: la stima culturale e il fascino personale. Pasolini aveva tutti e due. In più c’era in lui in qualche modo un carattere complementare al mio. Non andavamo d’accordo su molte cose, forse per questo alla fine andavamo d’accordo. E poi c’era un vero, profondo affetto tra fratelli”. Amicizia come fratellanza, legame quasi di sangue. E non nascondo neppure l’aver ceduto a parafrasarla per un amico sincero. Spinge a questi gesti intimi e semplici il volume “Alberto Moravia e gli amici” che raccoglie le testimonianze di chi conosceva davvero l’autore de “La noia” per ricostruire un “risarcimento” alla memoria spesso infangata del romanziere italiano. Curata dal prof. Angelo Favaro, la monografia è opera delle Edizioni Sinestesie dell’omonima rivista scientifica di studi sulle letterature e le arti europee. L’idea di dar vita a un testo collettaneo è giunta come naturale conseguenza di un memorabile convegno tenuto a Sabaudia nel novembre del 2010. Città non casuale, che conserva i momenti che Moravia dedicava al relax e all’ispirazione pura. Nessuno si tira indietro dal dare il proprio contributo, da Dacia Maraini a Giulio Ferroni a René De Ceccatty, autore di una splendida biografia di Moravia edita da Bompiani. È quest’ultimo a farci conoscere il rapporto di amicizia intensissimo con Pasolini, culminato nel discorso commemorativo improvvisato a Campo dei Fiori per il compagno scomparso: “Abbiamo perduto il simile - ebbe a dire Moravia. Qualsiasi società sarebbe stata contenta di avere Pasolini tra le sue fila. (…) Il poeta dovrebbe essere sacro”. Nella conversazione con Gianni Barcelloni, Favaro narra di un Moravia in viaggio in Africa con Pasolini a fermarsi nei villaggi per gustare i “pollastrelli ruspanti” che adorava e parlare con gli sciamani, osservarli. Da Barcelloni arrivano altri stati d‘animo di colui che aveva scelto Sabaudia anche per un lento disamore verso Roma: “Amava sempre meno Roma, la sentiva sempre più stretta, soffocante, occupata dalle automobili. Mi diceva: ‘Roma non è una capitale, come Parigi o Londra. Roma è un garage, di provincia’”. Stesso troncante giudizio Moravia riservava all’Italia, riportato da Arnaldo Colasanti: “Questa Italia cariata, invidiosa, cinica, non cerca più di raccontare la sua storia, ha dissipato per calunnia la sua generazione di poeti: ogni giorno fa in modo che essi muoiano di insensatezza”. Ma tra gli amici di Moravia non c’era solo Pasolini, come ci fa notare Clizia Guerrieri, anticipando in alcune parti una biografia di Mario Schifano che uscirà ad opera di Luca Ronchi: “[Per Moravia] i pittori erano sempre artisti mentre gli scrittori solo qualche volta. Invidiava i pittori, pensava che fossero più felici di lui. Quella tra Schifano e Moravia era un’altra amicizia complementare, in cui l’autore de ‘Gli indifferenti’ rimaneva attratto dalla manualità quasi artigianale della pittura”. Sembra essere la noia una delle “molle” della vita dello scrittore che, giovanissimo, a Cortina (dove era ricoverato) si descrive come Tantalo: ad un passo dalla agognata felicità. Erano gli anni della tubercolosi, dell’infermità a letto, una malattia che egli stesso giudica prima di tutto psicologica. Simone Casini restituisce perfettamente quei momenti di scoramento che pure hanno contribuito alla formazione letteraria di Moravia: “Il sentimento della noia nasce in me da quello dell’assurdità di una realtà, come ho detto, insufficiente ossia incapace di persuadermi della propria effettiva esistenza”. Quella noia “inesausta” che, secondo Alessandra Mattei, fa dello scrittore Moravia e del poeta Leopardi “amici di tempi lontani”. Bello e personale anche l’apparato iconografico, persino commovente in una delle foto in compagnia con l’ultima moglie Carmen Llera. Un volume prezioso, che sa rinnovare la presenza in mezzo a noi, intatta, di uno dei più grandi scrittori del Novecento, “a cui dava fastidio la volgarità del conformismo”. Un uomo che rivive nei valori dell’amicizia e dell’amore che non possono permettersi di conoscere crisi.
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