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LA MACCHINA DEL TEMPO
La macchina del tempo: un’occasione che non vorrei per me, ma per i gelsi custodi dell’autunno. È la finzione degli anni, dei sentieri che non scelsi.
Sconfina la pianura, come sempre succede. Lei che ha fame di radici, di fossi: non c’è chiusa che abbia tempre gagliarde e polsi senza cicatrici.
Così nasce il dolore. Non c’è scampo per gli argini al fragore della piena; la nebbia, come sempre, in controcampo, la resa, questa volta, sulla scena.
LA SOGLIA
Sarà la neve, sarà questa luce che non dà tregua ai campi, alle colline dov’è tornato il lupo e si riduce a mendicare avanzi; ma il confine
tra questa luce e il pianto a pochi passi non c’è. Vorrei pensare al tuo giardino come a una ricompensa: se varcassi la soglia potrei farlo a capo chino,
coi battiti del cuore in controtempo. Ma senza questa luce: non dà tregua ai campi, alle colline dove il tempo si estingue, dove il lupo si dilegua.
CARILLON
Le case abbandonate hanno finestre decrepite e l’angoscia dei solai; giornali, cofanetti, calamai, qualche vinile delle grandi orchestre
dimenticati per un contrattempo banale o sbrigativa noncuranza. L’intonaco azzurrino della stanza, il trucco della macchina del tempo
è cielo finto. Tende di chiffon sdrucite, un nido vuoto sulla trave: da qualche parte, forse, c’è la chiave per quel Notturno dentro al carillon.
[ Opera seconda classificata al Premio Babuk - Proust en Italie, VII edizione 2021, Sezione A ]
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