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al testo di Redazione LaRecherche.it
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...E se fossi vittima di un’illusione? Mi sento obiettarmi: quello che è in me, è l’immagine, il riflesso, l’idea dell’universo. Il pensiero non è che il fantasma del mondo offerto a ciascuno di noi. L’universo per sé stesso esiste all’infuori di me, indipendentemente da me, con tale immensità da far sì che io sia un nulla e come già morto. Se anche io non fossi, o se chiudessi gli occhi, l’universo sarebbe egualmente.
Un’angoscia, una ferita fresca mi stringe lo stomaco… Poi ecco che un grido sale dentro di me, un grido lucido, cosciente e indimenticabile come un accordo sublime di tutta la musica: «No!».
No. Non è così. Io non so se al di fuori di me l’universo possiede una realtà qualsiasi. Quello che so, è che la sua realtà non appare che per mezzo del mio pensiero e che fin dal principio esso non esiste se non per l’idea che me ne faccio. Sono io che ho fatto sorgere le stelle e i secoli e che ho teso il cielo nella mia testa. Io non posso uscire dal mio pensiero. Non ho il diritto di farlo, senza errori e senza menzogne. Non posso. Ho un bel tentare di dibattermi come per sfuggire da me stesso: non posso concedere al mondo altra realtà che quella della mia immaginazione. Credo in me e sono solo, poiché non posso uscire da me stesso. Come immaginare senza impazzire che io non sia solo? Quale cosa potrebbe provarmi che oltre l’insuperabile pensiero il mondo abbia un’esistenza disgiunta da me!
[La poesia qui proposta è un libero adattamento in versi della scrittura in prosa tratta da L’inferno, Henri Barbusse, trad. di Manuela Madama, Edizioni di Atlantide, pagina 236]
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