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al testo di Livia
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Azzurro funebre
Era il viso di un combattente. Nella penombra azzurrina quell’espressione scultorea giaceva immobile da 600 anni. Immobili le membra, una volta ardite e scattanti. La dura disciplina alle arti di guerra lo avevano forgiato ai rigori delle campagne belliche, alle lunghe e rovinose giornate di battaglie, alla resistenza, al pericolo e alle mille insidie ed agguati degli eserciti nemici.
Era il viso di un comandante d’armata che un abile scultore, probabile discepolo di Leonardo, aveva immortalato nella sua ultima impronta di giovinezza. La morte lo aveva colto nelle campagne di Ravenna nel 1512 mentre inseguiva un drappello di nemici. Nel giorno di Pasqua di Resurrezione. Tragico paradosso evocativo, che aveva spezzato per sempre la vita di un uomo.
Ma qualcosa in quel sonno reso eterno, rendeva il suo viso vulnerabile. Tenero, bello, dolce. Le labbra piene quasi morbide sembravano palpitare ancora di vita nonostante gli occhi fossero chiusi, come in attesa di risvegliarsi da un brutto sogno, come se la morte fosse solo l’invenzione di un artista scultore.
Mi avvicinai, attratta da quella luce filtrante e senza rendermene conto mi chinai e lo baciai. Baciai le labbra di Gaston de Foix.
(2010)
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