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al testo di Luc Laudja
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Resti quel che resti Cammino in questo mondo Senza pace fino in fondo Immondo falsotondo infame mondocane Rame ferro piombo stagno Bagno le Dta in 3 dita di vita Compro colori imbratto la mente Sente il dente un freddo fendente Sconquasso l’equilibrio offendo il vaso Se è tanto fragile non sarà un caso V’era un sogno celato là dentro Ora dal basso è più alto di prima Liberàti i frammenti il respiro è più ampio Che il vago non è il vuoto E’ il saper dell’incertezza E’ accoglienza è nascita è parto E’ una porta mai chiusa all’incanto E sia pure soltanto una speranza Tuffato nel canto di un nobile pianto Pianto di case di lume di lune Cielo osservato dall’ultimo piano Finestra terrazza vetro giardino Di notte qui ha inizio il mattino Alberi foglie radice conci(di)me Piedi e mani mari non fiumi E allora lascia che sia marea Corsa cammino tronco segreto Alberi e giostre circo e teatro Un albero aspetta più antico di tutti Anche il cielo lo sa e batte alle imposte Sta nel tuo nome in poca distanza Nell’occhio del lupo la luce che dice Tazza sedia latte e cartone Tavolo divano sorriso canzone E subito la tavola è celeste Come fosse cielo Metti la tazza in cielo Devi apparecchiare il cielo.
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Parole le mie catapultate allo sbaraglio, foglie cadute
Mi scaldo in disparte "Paga il conto ed esci Occupato tutto pieno"
No! io resto
Almeno a guardare. A vederTi, dal mio buio, |
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