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al testo di Pietro Menditto
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Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? [...] Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me Giovanni, XIV, 10-11
Ti ho portato dei fiori e chi li ha scelti - non io che non tollero i mucchi - mi ha garantito che sono i più giusti.
Uno dei miei miserabili trucchi, un colpo segreto, mentre senza il coraggio di un Pater mi accingo a passare una minuzia di tempo dove la stagione cerne, declinando, le tue, le sue ceneri, trasmuta il sorriso del teschio dietro un marmo di cui posso [contare i pori.
E’quest’ ultima luce, il suo immoto ansimo [polveroso.
La luce ha ancora qualcosa da dire a quest’ora, il meglio della sua sapienza quando muore e va a posarsi su quello che resta di una cosa.
La vita che dividemmo, come è giusto, ci divise, e questo non è poi diverso da uno di quei silenzi.
Che io avessi terrore di te era normale ma che tu ne avessi di me era il mistero, la quadratura del nostro male.
Cos’è che adesso mi fa sentire la tua mano sulla mia testa, confusa più d’allora? A che serve questa pietà sterile di pianto? Per una vita cercai un canto che frantumasse il ghiaccio e nient’altro adunai che gli scomposti gesti di un muto, i resti di un desolato, insipiente amore.
Trovai un muro e lo chiamai: [il mio assoluto.
Come un bambino povero monta su un copertone e con la bocca pietoso imita il rombo di un motore.
(riproposta) |
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