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al testo di Pietro Menditto
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Faccio visita a mia madre. Ha l’Alzheimer.
Siede sul divano nel salone dove tornato mogano dopo il restauro irradia fiero a sfida il suo silenzio uno Schmidt & Dauber del ’23.
I tasti ormai sono denti che ballano negli alveoli di una bocca che non riuscì a trovare la sua melodia.
Prendo posto accanto alla donna cui devo l’enigma della mia vita.
- Ciao mamma, mi riconosci? Chi sono io?
Esita; sorride indifesa e interrogativa come per chiedere di non essere presa in giro. Poi risponde decisa.
- Tu sei Domenico, sì Domenico, il figlio di Rachele.
- No mamma, non sono Domenico, sono il tuo primogenito, sono un altro, chi sono io?
- Sì, tu sei un altro, un altro!
- Volevo dire che sono un altro, cioè un’altra persona, con un suo nome. Qual è il mio nome?
- Perché ti prendi gioco di me? Il tuo nome è Paolo, il fratello di mio marito.
- No mamma, io non sono Paolo, il fratello di tuo marito, mi chiamo diversamente.
- Allora ti chiami “diversamente”, è un bel nome “diversamente”.
Andiamo avanti così per un bel pezzo e mi affibbia altri venti, trenta nomi, tutti punti brillanti, mi accorgo, della memoria rimescolata del suo passato.
Ma quando non ne posso più e comincio a pensare di andarmene, dopo aver guardato fisso davanti a sé per qualche secondo, punta intensamente gli occhi nei miei con una serietà che inquieta e con una voce metallica che fa un po’ paura mi dice:
- Tu sei Pietro.
- Sì mamma, sono Pietro ma Pietro chi?
- Io ho molto sofferto per te ma adesso viene la fine.
- Quale fine?
- La fine di tutto.
Poi torna a fissare con gli occhi socchiusi il vuoto davanti a sé.
Dopo tanti anni, la vecchiaia, la malattia, chi può dirlo?, l’elenco infinito dei nomi del suo passato e poi, alla fine di tutto, il mio, la mia vecchia madre svanita ha trovato, mi illudo, il modo per dirmi che sono stato tutta la sua vita. |
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