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al testo proposto da Pietro Menditto
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La sigaretta migliore
Ce ne sono molte che mi mancano, dopo aver gettato dal finestrino dell’auto l’ultima, scintillante, lungo la strada, una notte, anni fa.
Quelle canoniche, naturalmente: dopo aver fatto sesso, le due punte luminose ora luci di un’unica nave; alla fine di una lunga cena con altro vino in arrivo e un cerchio di fumo che fluiva nel lampadario; o su una spiaggia bianca stretta fra le dita ancora bagnate dalla nuotata.
Così agrodolci queste punteggiature di fiamma e gestualità; ma le migliori erano in quelle mattine quando qualche piccola cosa cominciava a prendere forma alla macchina da scrivere, il sole che brillava alle finestre, con Berlioz, magari, in sottofondo. Andavo in cucina per un caffè e tornavo alla pagina, ripiegata nel rullo, me ne accendevo una e sentivo il secco afflusso mescolarsi al gusto scuro del caffè.
Poi diventavo la locomotiva di me stesso che lasciava dietro di sé, mentre tornavo al lavoro, piccoli sbuffi di fumo indici del progresso, segni di laboriosità e pensiero, il segnale che diceva al diciannovesimo secolo che avanzava. Quella era la sigaretta migliore, quando fumante entravo nello studio pieno di speranze vaporose e me ne stavo lì, in piedi, con la grande lampada del mio volto che illuminava le parole disposte in linee parallele. &nbs |
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