Scendevamo a valle lungo la corrente sotto un pulviscolo di stelle, dormendo fino al sorgere del sole. Quando giungemmo alla capitale, ridotta in macerie, facemmo un enorme falò con le sedie e i tavoli che riuscimmo a rimediare. Il calore era tanto intenso che gli uccelli in volo prendevano fuoco e precipitavano in fiamme. Li mangiammo, poi a piedi ci addentrammo in regioni dove il mare è di ghiaccio e il terreno è cosparso di macigni come lune. Se solo ci fossimo fermati, voltati, e fossimo tornati al giardino da cui eravamo partiti, con la sua urna spaccata, il mucchio di foglie che imputridiscono, e ci fossimo seduti a contemplare la casa e avessimo visto solo il trascorrere del sole sulle finestre, quello sarebbe bastato, nonostante l’ululare del vento che sospingeva le nubi verso il mare come pagine di un libro su cui niente era scritto. Mark Strand (Traduzione di Damiano Abeni con Moira Egan) da “Uomo e cammello”, 2006, in “Mark Strand, Tutte le poesie”, Mondadori, 2019
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