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Via Marchese di Montrone

 

Annamaria Vanalesti schiude i ricordi del suo cuore e porta il lettore in un viaggio lungo il percorso della vita della protagonista Myrna.

La narrazione procede con fughe in avanti e ritorni repentini, attraverso una geografia sentimentale che ricorda il giardino della zia Léonie. Così come l’infanzia di Combray ha creato la base identitaria del Narratore e dell’autore, così anche per la Vanalesti sono i primi anni di un’esistenza felice a creare sia la base dell’identità, sia il richiamo nostalgico che il volgersi di un’esistenza ricca e completa non riesce a sopire completamente. In fior di metafora possiamo dire che l’autrice trasporta i personaggi della narrazione su di un set cinematografico, dove li invita a recitare loro stessi ma con un copione che via via viene ricreato dalla memoria e dalla fantasia di Annamaria. Quel che ne esce è una esposizione fortemente biografica, intervallata da parti più oniriche, capaci di far assumere alla narrazione diaristica un andamento romanzesco, in cui le vicissitudini della protagonista diventano le gesta di una eroina al pari di una Karenina o una madame Swann. Ed è forse il grande amore dell’autrice per la letteratura a donare a Myrna la capacità di mostrare in filigrana le grandi donne della letteratura mondiale. Come nelle mosse del barone di Charlus il Narratore della Recherche vede sovrapposte quelle di madame de Marsantes, così l’autrice fa vestire la sua eroina con la determinazione e l’eleganza delle dame che popolano l’immaginario letterario mondiale. Come dicevo l’autrice è una grande esperta di letteratura, ed è anche una donna gentile ed elegante, in qualche magico modo tutti questi elementi si fondono nel romanzo, creando pagine dense di avvenimenti ma narrate in modo incisivo e raffinato. Per citare un esempio della perfetta simbiosi fra arte, cultura e vita quotidiana, riporto un passo emblematico:

 

Entriamo nel grande tempio con devozione e ci soffermiamo davanti al pendolo di Foucault. È incredibile come quella lenta oscillazione esprima il movimento della terra, per “visibilia ad invisibilia” e noi siamo dentro quella oscillazione.

“Andrea mi ami?” chiedo con un filo di voce.

“No, ti adoro, sei tu la donna del mio cuore”.

“Viviamo insieme, ti prego, da ora, da subito!”

“Ma noi già viviamo insieme e da sempre, amore mio!”

È vero, è così, ma ogni tanto me lo dimentico e ho bisogno di sentirmelo dire da lui. Siamo scesi nella cripta e ci dirigiamo alle mie tombe preferite, di Dumas, di Zola e di Hugo…

 

Una donna innamorata, capace di grandi moti del cuore, pronta a mettere in discussione l’apparente serenità per dare corso a quello che le dice il cuore, immersa nel grande santuario della cultura europea, rappresentato efficacemente dal Panthéon di Parigi.

La narrazione, fluida, precisa e inappuntabile, scorre mostrando una donna con tutto il suo essere ben radicato nella realtà, nutrito dall’amore di una famiglia ma anche dalle grandi letture che l’hanno formata facendola diventare nota per il suo acume critico e la vivacità intellettuale: ora ci si rivela anche nella veste di una deliziosa romanziera.

 

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