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La pena uguale

Molti tra noi hanno certamente desiderato da bambini salire in una di quelle soffitte che, nei libri che si leggevano allora, erano piene di armadi e bauli, dai quali si tirava fuori di tutto, e tutto era splendido e ci parlava di epoche lontane, di fasti che non ci erano appartenuti, ma dei quali potevamo essere parte attraverso i tesori accumulati là dal fluire del tempo. Per Alessandro Franci, questi bauli ed armadi si sono rivelati pieni di tesori cui attingere a piene mani, egli ha infatti accumulato, nel corso degli anni, pensieri e sensazioni annotandoli su pezzi di carta, fogli e foglietti, ed ora, qui raccolti, formano l’elegante volumetto edito dalla casa editrice fiorentina Gazebo. La lettura risulta immediatamente non convenzionale, le pagine non sono ordinatamente fitte come per un testo di narrativa né elegantemente spaziate come per una silloge poetica, ma semplicemente sono ordinate, suppongo, così come sono scaturite dal pensiero dell’autore. Sono pagine da leggere e da rileggere, non vi è una trama a condurre il lettore, o un filo, un nesso, vi è lo scorrere di una mente nella quotidianità del suo esistere: “[…] A una rilettura talvolta approssimata, oppure quasi ostinatamente scrupolosa di quelle pagine, risultava spesso un’evidente dispersione di appunti. A volte, però, affioravano frammenti che, se all’inizio si rivelavano incomprensibili, in seguito si concedevano con una loro disinteressata confidenza. / L’insieme del libro è composto quindi da questa dispersione: tracce poco visibili, note diverse fra loro, che infine hanno usurpato il posto di quella scrittura della quale avrebbero dovuto essere attenti difensori […]”. (Dalla nota introduttiva dell’autore, intitolata “Giustificazione”)
Ciò che si trae dalla lettura è un voler vivere con un respiro tanto più ampio quanto più sereno, semplificando i rapporti fra le persone e annullando quelle barriere e quei pregiudizi che ci rendono schiavi di noi stessi e preclusi a chi ci circonda. La vita quotidiana è attentamente letta dall’autore e spesso il suo fraseggio – impietosamente – analizzato, sino a rivelarne lo sconquasso grammaticale oltre a vistosi vuoti, laddove basterebbe un poco di logica a rimettere tutto in un nuovo ordine capace di portare più avanti, più lontano. Salvo poi ritenere quell’andare più lontano come un restare dentro e su noi stessi ma con un nuovo e differente linguaggio. Le pagine sono spesso trafitte da punte di amarezza, l’autore talvolta sembra stentare a scorgere una soluzione vera a problemi per i quali, appunto, la soluzione è affannosamente cercata. Spesso il male peggiore additato da Franci sembra essere il conformismo e il voler sempre e solo adattarci alle soluzioni create da altri e lì la via per la sopravvivenza sembra essere nel sogno e nella fantasia: senza apparentemente fare un movimento la salvezza è già pronta dentro di noi, bisogna solo coltivarla.
Emerge talvolta una sorta di colta malinconia, delle tinte amarognole che ci ricordano alcuni passi di Canetti, la verticistica solitudine di chi sa, l’isolamento dell’intelletto che è giunto primo su altri ad un equilibrio, e nota maggiormente le stonature del tessuto sociale e soffre nell’impotenza e può solo gettare semi, semi di conoscenza, di lungimiranza che, spera – attende – possano essere di monito alla società.
La chiusura al prossimo e l’unicità che ci contraddistingue o che riteniamo lo faccia, sono baluardi che vorremmo inespugnabili, e ci salvano dal ridicolo del conformismo, salvo poi, ammantarci dello stesso ridicolo quando li scorgiamo in altri, e allora la via è l’attaccamento più che metodico al nostro io. L’unicità del pensiero che non ci dà tregua è assai ben espresso nel pensiero che dà il titolo al libro, e lo chiude con un paradosso stilistico che dà la tonalità all’intera opera: “Si è gelosi persino dei nostri mali, fino al punto di disconoscere all’altro, una pena uguale.”
Un’opera questa che, con andare quasi dimesso, sussurrato, scava un solco nella coscienza del lettore, ma ringraziamo Franci, perché questo solco non resta sterile, ma riceve i semi che l’autore vi getta e che una volta germogliati porteranno i frutti della riflessione e di una sorta di pessimismo evoluto che può aprire spiragli di salvezza a un mondo troppo spesso dominato da un pensiero uniforme e claustrofobico.

 Daniele Incami - 07/11/2009 11:07:00 [ leggi altri commenti di Daniele Incami » ]

Un testo all’apparenza non comune, un dettato di memorie, sembra interessante.

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