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al testo di Giuliano Brenna
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Prima che il mondo cominci a bruciare – un problema italiano Luca, il protagonista, è un giovane di 25 anni, ha passato un periodo nell’esercito, in una discutibile missione di “pace”, ed ora si ritrova a dover ricominciare daccapo la sua vita, da civile. Un suo ex commilitone, Edoardo, gli offre lavoro ed una stanza. Ben presto Luca si accorge di quanto di marcio vi sia nella società, di come il divario fra ricchi e meno abbienti si faccia sempre più ampio. Luca e quelli della sua generazione hanno ben poco su cui contare, il precariato è ormai la realtà del mercato del lavoro e il tirare avanti si fa sempre più aleatorio quando non si ha un contratto lavorativo, molte strade sono precluse, anche le più comuni, quali accedere ad un mutuo, affittare una casa e così via. Luca scopre, nello stabile in cui abita, un ex hotel, ora fatiscente alloggio, un gruppo di persone nelle sue stesse condizioni, tutti arrabbiati di come il mondo venga solo mostrato loro da dietro un vetro: per i giovani non vi sono possibilità di un inserimento nel mondo del lavoro, e di conseguenza nella società. Simbolo comune di questi giovani, e di cui Luca verrà ben presto insignito, è una testa di lupo tatuata sul braccio, a creare un legame visibile tra chi, pur non conoscendosi, vive allo stesso modo e nutre i medesimi ideali. Un marchio tribale che segna la fratellanza di vedute, ma col finale cala anche l’interrogativo se effettivamente questa comunanza, questo esser gruppo contro tutti vale davvero. Su di Luca incombono anche pesanti accuse per maltrattamenti compiuti dal suo battaglione durante la missione in Africa, a queste accuse se ne aggiungerà una nuova, quando il protagonista cercherà di farsi giustizia da sé, ma non si sa se la reazione dei carabinieri sia così eclatante per i fatti recenti o per mettere a tacere uno scomodo testimone tornato dalla missione in Africa. Non mi dilungo maggiormente sugli intrecci della trama per non anticipare troppo ai lettori che sicuramente resteranno avvinti nella bella trama di questo romanzo. Ciò che salta all’occhio sin dalle prime battute sono il linguaggio e la costruzione del fraseggio nella narrazione. Luca narra le vicende in prima persona, e lo fa con un linguaggio crudo, immediato, assai colloquiale, a tratti di tipo bloggistico, con vasto uso del linguaggio da strada, con il suo corollario di espressioni colorite ed imprecazioni. Anche l’andamento della trama è immediato nella sua costruzione, è colto nell’atto di scaturire dalla mente di Luca, ha una notevole spontaneità ed immediatezza. Dà l’impressione di essere partecipi delle scene o di sentirsele raccontare dalla voce di chi quelle cose le ha vissute. In alcuni tratti le parole diventano vere e proprie immagini, soprattutto quando Luca è sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, la narrazione segue l’andamento allucinato di una mente non propriamente in sé, rende assai bene le circonvoluzioni, gli incubi e i sogni alterati dalla droga (perlomeno così suppongo si comporti chi è alterato dalla droga, non avendo io esperienza diretta del settore). Encomiabile la scena in cui Luca si immagina che il palazzo si trasforma in una astronave ed inizia la fase di decollo, davvero bella. Dando un’occhiata alla biografia del giovane autore si capisce il perché le sue parole divampano spesso in immagini, egli è creatore e produttore di videoclip e cortometraggi, e ciò si riflette nella sua bella scrittura, veloce e fatta di immagini, viva e pulsante. Il romanzo tuttavia farà arricciare il naso a qualcuno, il linguaggio spesso non è ortodosso, qualche parolaccia scappa qua e là, ma è così ricreato un contesto reale e vissuto, quel che forse andava visto meglio è qualche errore vero e proprio di battitura che di tanto in tanto fa inceppare la macchina narrativa, un paio in particolare sono da matita rossa, ed imputabili a un istante di distrazione. Ma in questo caso anche le piccole sbavature rendono il racconto ancora più vivo ed immediato, danno quel senso di velocità che rende il romanzo oltreché reale e tangibile, anche simbolo di una certa visione della società e di metodologia di rapportarsi ad essa, rappresentata dai protagonisti dell’opera. Si può ben dire che il contenuto, i personaggi ed il modo di raccontarli sono perfettamente amalgamati e resi uniformi dalla mano felice del nostro regista e scrittore Federico Crosara. Per concludere, se il linguaggio può far storcere qualche naso, l’aver sollevato problemi tanto seri è assolutamente da premiare, è simbolo di una scrittura viva e presente. Il libro è molto bello, mi ha appassionato e fatto riflettere, cosa non così comune, lo consiglio sicuramente e mi congratulo con l’autore, per quanto esposto sopra, e per il coraggio di avere affrontato certe tematiche, soprattutto quella del precariato, spesso relegato in ultima pagina dai quotidiani, usato in tempo di elezioni e poi abbandonato. Un grazie a Federico, e visto il finale, forse ci regalerà un sequel. |
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