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La fine del mondo e il paese delle meraviglie

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Una misteriosa città circondata da un minaccioso muro popolata da persone senza cuore, senza ombra e senza sentimenti, oltre che da mandrie di pacifici unicorni, è il luogo dove un giorno il protagonista del romanzo arriva. Essere privati della propria ombra già è un fatto drammatico, ma quando al malcapitato vengono bucati gli occhi per poter adempiere alla mansione di lettore dei sogni sembrerebbe che un tentativo di fuga sia il modo migliore per aver salva la propria vita. Contemporaneamente, in una Tokio appena di poco nel futuro, un giovane svolge con serietà la sua professione, che consiste nel criptare dati usando invece di un computer – considerato troppo vulnerabile – la propria mente. Al termine di un lunghissimo viaggio nel sottosuolo apprenderà che proprio per rendere la sua mente capace di nascondere i dati è stato oggetto di un esperimento e il suo cervello manomesso. Purtroppo questa manomissione non ha avuto completo successo e il giovane ha ancora poche ore di vita prima di “spegnersi”.
Due mondi apparentemente molto distanti ed inconciliabili diventano così uno adiacente all’altro; la piccola città recintata dal muro è stata creata mano mano che la mente del protagonista cominciava a cedere per permettergli di trovarvi rifugio dopo la distruzione di un pezzo notevole della sua mente, causando la perdita di ricordi, sogni ed emozioni; ed ecco la necessità di continuare a vivere pur privato di così tanta parte di sé.
Questa l’estrema sintesi di un romanzo – molto bello – narrato a capitoli alterni: “il paese delle meraviglie” che sarebbe la Tokio “reale”, e “La fine del mondo” dove si narra della cittadella recintata dal muro. Apparentemente le due parti sembrano completamente separate l’una dall’altra per poi giustificarsi l’una con l’altra nel finale, in realtà all’inizio dell’opera la città della fine del mondo è appena abbozzata, il protagonista col fatto che è appena arrivato ne sa ben poco, però pare che l’arrivo coincida con la creazione stessa della città. Infatti la piccola città e il suo muro vengono via via creati dal protagonista con pezzi della vita del paese delle meraviglie. Per esempio mentre vaga nel sottosuolo sente aprirsi pozzi circolari dai quali, oltre ad uscire sanguisughe e poi acqua, sente un fortissimo risucchio; quasi contemporaneamente nella fine del mondo va a visitare la centrale elettrica che consiste in un pozzo circolare da cui esce una fortissima colonna d’aria. E così via in un intreccio appassionante quasi – concedetemi – geniale di concetti, avvenimenti od oggetti che filtrano tra un mondo e l’altro, quasi un gioco di specchi in cui qualcosa che è normale vedere nella Tokio attuale lo si rivede con stupore e deformato, sembrerebbe dagli anni – o dall’averne dimenticato il significato – nella fine del mondo. In tutto il libro vi è la magica presenza degli unicorni che nella fine del mondo brucano, e con l’erba mangiano i sentimenti e i sogni, poi, dopo morti, quando vengono bruciati, li lasciano nell’aria dove l’enorme muraglia li assorbe. Al protagonista viene dato il compito di guardare nelle orbite dei teschi degli unicorni per “leggere” i sogni degli abitanti della città, ma in essi cerca solo di ritrovare quel sé stesso la cui mente è stata annientata a Tokio, dove una notte, quello che si credeva un finto teschio di unicorno, emanerà una luce azzurrina, creando un “corto-circuito” fra i due mondi.
Tutto il libro è pieno di rimandi nascosti tra i due mondi, è scritto con mirabile maestria, sebbene la traduzione abbia un paio di ingenuità, e si legge con avidità, dapprima con un senso di sconcerto dovuto al fatto di trovarsi praticamente di fronte a due libri, poi quando si comincia a chiarire la struttura, si resta rapiti dalla bellezza della narrazione e dalla genialità delle trovate. L’autore, uno dei migliori contemporanei al mondo, costruisce una vicenda assai complicata in modo da apparire molto semplice e mai macchinosa, tracciando due linee parallele ma che, per qualche motivo, si intersecano. L’interpretazione del tutto poi non è palesemente spiegata è lasciata presagire, e potrebbe capitare che ad una prima lettura il libro appaia del tutto diverso da quello che potrebbe sembrare una volta riletto. La parte della fine del mondo trasmette sempre una struggente malinconia, penso dovuta alle interminabili nevicate, o alla mansueta presenza degli unicorni, condannati a togliere alle persone ciò che hanno di più caro. Il tema della cittadella impenetrabile, e dove essere in pace e lontani dai sentimenti, è stato ripreso dall’autore in un breve passaggio del suo più recente “Kafka sulla spiaggia” ma solo come luogo di passaggio, e trovato già fatto (forse) mentre qui è costruito proprio dalla mente del protagonista per trovare rifugio.
Questo è probabilmente il più bel libro di Murakami, ha tutti gli elementi tipici della sua narrazione, ma lo sdoppiamento della trama e la sensazione che nel libro rimanga sempre qualcosa che non si riesce ad afferrare, lo rendono unico.

 Daniele Incami - 28/08/2008 00:56:00 [ leggi altri commenti di Daniele Incami » ]

Bello come una favola.

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