Dove c’era la scuola e l’asilo, in cima alla collina Belvedere, c’è ora un parcheggio rivolto alla campagna che digrada, a oriente, verso il porto e il Duomo. Guardano i musi silenziosi delle auto dove guardavi tu dal tuo banco. Sembra impossibile che nel poco spazio ci fossero sei aule, due anditi i bagni ed il giardino e cento cinquanta bambini. Pensi alle cose che hai imparato dalle maestre di allora: Andreoli e Barbarossa, la signorina Amalia, già anziana, lenti spesse e camicia bianca. Il latte caldo nei bicchieri annacquato e zuccherato, all’asilo, appena si arrivava, era per tutti, perché non fossero diversi alcuni. Le buste del patronato riservate a pochi sembravano invece un ingiusto privilegio. Di tutto quel passato sei anche tu che tieni acceso il cerino del ricordo, 147 assieme ad altri che non sai, forse seduti in quest’istante nei bar gloriosi di Gioacchini e Polenta. Perché si sappia che è esistita la gioia semplice di un mondo che ha saputo ridere e gioire, costruire dal niente. Tornato dopo anni a Posatora, ti è parso di sentirle per un attimo le urla dei bambini di allora, di vederne i grembiuli, i fiocchi, le borse, i sorrisi.
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