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al testo di Rita Stanzione
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Quel che resta di me è un moncherino di gioia madido in bende di negazione ampie come lenzuoli – di cancellazione aspre come fortezze di convivenza. Quel che resta di me è il feto-donna che viveva e poi è tornato all’utero, murato. Quel che resta di me è un frammento d’esistere lo spettro nero che non vedete (più). Che non vedete, la sovversiva l’audace la portatrice d’eros la libertà che fa spavento. Quel che resta di me si ribellerà all’ascia che ha tagliato i ponti del camminare di là del male antropomorfo inciderà le coltri su primavere calpestate. Quel che resta di me è la voce bellissima che continua a cantare, cieca luce al cielo capovolto senza una musica. Ma io non ho che questo canto un canto-vento di apertura di tutti i segreti che porto mentre la vita soffoca – mentre vorrei a svegliarmi un’onda rosa, entrare in me tutte quelle che hanno avuto coraggio per me con i loro landai di lingua e cuore restituirmi al mondo. Poesia pubblicata in "Tutte noi la Terra non ha confini questo luogo" (Iniziativa di Cartesensibili a favore delle donne afghane) e in "Un cielo di poesia" edizione decennale 2012- 2021 (voci di poesia) |
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