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al testo di Robert Wasp Pirsig
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Mio padre è esposto a nordovest e conta dal tramonto la sorgente che non vede. Mia madre apre la sfilata in favore di camera: è meravigliata, vede cose dell’altro mondo e i parenti con il loro cordoglio fanno cornice più o meno a giorno. Dunque, sulla mensola la distanza è garanzia di appartenenza, perché gli anni seguono centimetri per giorni. Stanno lì per adesso, quegli adesso inestimabili che gli occhi scorrono come grani in un rosario di congiunzioni. Un plotone familiare sotto il fuoco di fila delle rivisitazioni e/o dei paradossi di caduti e risorti a vista. Frazioni d’acqua per ognuno di quei frame, pontificazioni di sangui a volte, a volte unanimità di giorni. Vado tra loro come la goccia nel polsino quando dal rubinetto al viso esplode: un brivido e un disagio: la vita, insomma. Sono passato tra di loro come futuro nudo. In altre parole, ho fatto il mio tempo fuori da queste madreviti ma la filettatura è su di loro come ritorno. Sono ancora robusti, benché soltanto busti digitali, ritoccabili dove serve - e a me tocca tanto il cuore e la mente, partendo dalla credenza che uno stipo è adatto a conservare l’intimo e lo spirito, oltre la forma e quel succo in luce. Di tanta pasta fatto.
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