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al testo di Samuela Cittadini
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Il giorno perfetto
La tavola scivola veloce e leggera sull'acqua che è limpida e azzurra di primo mattino e colpisce a piccoli spruzzi i tuoi piedi ben saldi sulle staffe. Le tue braccia sono rilassate ma pronte a bilanciare con sicurezza la forza del boma e delle linee che tendono la vela. Il vento è diventato una brezza tesa ora che sei a circa un quarto di miglio dalla costa. Ti volti per dare un'occhiata alla spiaggia ancora non invasa dagli ombrelloni e per controllare la presenza di eventuali altri kiters. Ma non c'è anima viva, nessuno sta armando la sua ala, né ci sono boe che segnalano la presenza di sommozzatori sulla tua traiettoria; verso l'orizzonte, solo qualche piccola barca a vela che deve aver preso il largo prima ancora di te e ancora più oltre, fin dove il tuo sguardo può arrivare, qualche peschereccio. Alle tue spalle, la ruota panoramica sembra un relitto metallico dopo un’esplosione, e fai fatica a immaginare il fascino che esercita su così tanti turisti che fanno la fila per salire a fare un giro. Venite piuttosto a farvi un giro qua, gli diresti. Provate l'emozione di saltare in balìa di una forza completamente libera e indipendente da voi ma che dovete riuscire a controllare. Anzi, non ci venite. Non riempite il mare con il vostro traffico, con i vostri schiamazzi da consumatori distratti e fatalmente inappagati. Salite sulla ruota, lanciateli lì i vostri “Ohhh” di meraviglia. Ti viene da ridere a questi pensieri, perché a te non importa niente di quello che fa la gente; la massa, il popolo con le sue ferie, con le sue partenze intelligenti, con gli sconti di cui approfittare; con la sua calca nei locali, nei ristoranti, nei supermercati. Tutti ti sembrano inseguire la felicità su percorsi di consumo obbligati, come se la felicità fosse qualcosa che si possa comprare. E invece no, non la potete comprare, ve la dovete guadagnare, pensi, mentre il vento sta portando la tua ala allo zenit. Ecco il salto, abbastanza alto da riuscire a fare mezzo giro su te stesso e planare morbido sull’acqua. Tu ami questa sensazione di completa libertà e di incertezza sull'esito di ogni singola evoluzione. Non puoi fare a meno di pensare che questo sport somigli più di quanto si possa immaginare alla vita; e agli scossoni inaspettati e agli schiaffi e agli attimi di pura gioia, anche questi mai preannunciati dal benché minimo segno. La vita sorprende in più di un attimo. Ma quale vita, pensi? Forse vorresti che fosse così, la tua vita: una serie incessante di salti, di cadute, di sorprese, di vita. Ma forse, invece, la vita somiglia di più a un mare in bonaccia che può arrivare a dare la nausea per il suo rollio lento e prevedibile. Ci sei. La vita è un interminabile andamento di bonaccia, interrotto in modo inaspettato da qualche guizzo di felicità. Ti sei svegliato intorno alle quattro in un bagno di sudore, nelle orecchie ancora il ronzio della musica alta che suonavano in quel posto, nella testa ancora le parole di lei. Avresti preferito un ronzio e un frastuono ancora più forti, ammesso che fossero sufficienti ad azzerare il senso di quelle parole. Ma poi che cos'è che ha detto? Niente che non sia negli schemi di una normale ragazza qualunque. Non sono le parole a farti paura, né il significato di ognuna di esse presa singolarmente. È quel senso del futuro già stabilito, implicito, che ti fa paura e tu non hai avuto abbastanza fegato per dirle che, per te, le cose non stanno esattamente come pensa lei; che forse di legarti in questo modo non è esattamente nei tuoi piani, in questo momento. Tu la ami? Sì, forse. Ma ami anche un sacco di altre cose che non collimano proprio al millimetro con il suo modo di vedere la vita. Hai messo l'attrezzatura in macchina e hai cominciato a correre, correre, correre fra colline e alberi che si stavano colorando di rosa; dal finestrino aperto aria frizzante a riempirti i polmoni. E mentre il giorno si proiettava su tutte le cose della terra, la sua luce accecante, con un bagliore di fuoco, ha raggiunto anche te. Ti si è oscurata la vista per un tempo che è sembrato infinito, ma come per compenso, la tua mente è diventata lucida e affilata. E finalmente hai visto con chiarezza le emozioni che ti avevano travolto e com'erano riuscite a farlo. Era tutta colpa di quel sentimento d'impotenza che provavi sempre quando dovevi far valere le tue ragioni, sempre preoccupato com’eri di andare oltre, di ferire. Solo che agli altri, per lo più, non importava un accidente di andare oltre o di ferire. Erano così convinti delle proprie ragioni, così ciechi di fronte alle ragioni e ai sentimenti degli altri; e così egoisti anche quando dicevano di amare, da non vedere altro che i propri bisogni; immaginavano un mondo perfettamente disegnato per esaudire i propri desideri; un mondo in cui gli altri non potevano che ricoprire il ruolo che essi gli avevano affidato. “Sono incinta”, lei aveva detto, ieri sera. Ma era successo davvero ieri sera? O un mese o un anno prima, forse? Oggi sembra tutto così chiaro, come le cose che guardi da distante perché sono successe tanto tempo prima e tu non ne sei più coinvolto. Tutto sembra spazzato via da questo vento che si sta ingrossando. Le onde hanno preso a scagliarsi con più forza sulla tavola che, pure, fila dritta contro l'orizzonte e con piccoli balzi si allontana sempre di più da terra. Eppure, quella striscia al di là della tua terra e del tuo mare, non sembra avvicinarsi. Anzi, hai come la sensazione che, più ti dirigi verso di lei, più quella ti sfugge. Ti sfiora appena il pensiero che forse ti stai allontanando troppo e che forse dovresti provare a virare per riavvicinarti alla costa. Ma ancora la scena di ieri sera davanti agli occhi prende il sopravvento. Il cameriere ha da poco servito il vino e si è allontanato. Tu sei rimasto in silenzio, guardandola come se fosse un'estranea, tu stesso inondato da un sentimento di estraneità e non-appartenenza, a quel momento, a quella frase, a quel significato. Devi aver avuto un'espressione instupidita, pensi, come quando qualcuno fa una battuta e tutti intorno a te ridono, ma a te sfugge il significato. Ti sei versato da bere, sempre guardandola in quel modo, con un'intensità che ti avvolgeva come una cappa di pesantezza e dalla quale non riuscivi a liberarti. Ti sentivi rallentato e hai dimenticato anche la cortesia di versare da bere per prima a lei. Lei taceva, rimandandoti il tuo sguardo. Hai finalmente versato il vino nel suo bicchiere, hai alzato il tuo per un brindisi silenzioso e serio in direzione del suo, ancora appoggiato sul tavolo. E all'improvviso un pensiero consistente e duro come un ammasso di roccia dura ti ha colpito con tutta la violenza del suo impatto. Chi è lei? Tu non la conosci davvero. E questo era il bello fra voi fino a pochi istanti fa; voi vi stavate conoscendo, prendendovi tutto il tempo necessario, senza alcun altro progetto che il piacere di passare del tempo insieme, scoprendovi piano e con estrema dolcezza. Era così diversa, con il suo modo di fare un po' all'antica, così restia a lasciarsi andare. Fare sesso per lei era stata una cosa seria, era stato fare l'amore. Intere giornate a nuotare, a passeggiare fra i boschi, a prendere il sole e quei baci, che arrivavano ogni volta quasi con pudore, ti facevano sentire come qualcuno che riceve un dono prezioso. Poi alla fine del week-end lei ripartiva e ti tornava prepotente la voglia di fare sesso con qualcuno che era fatto come te. Non ti sentivi in colpa; non avevi mai fatto alcuna promessa di stabilità. Perché è di questo che ha bisogno la tua vita. Perché tu ora non sai più esattamente chi sei. Tu non sai più nemmeno che cosa vuoi. Che cosa vuoi? Vuoi stare con lei? Con lei che ti sta guardando con una tale compattezza di emozioni inespresse, ma per te così tangibili? O forse è solo una tua impressione. Che cosa c’è in quegli occhi che ti guardano? Potresti dire che si tratta di diffidenza, mista a stupore, e a paura, e a dubbio. Sì, forse è proprio il dubbio che prevale nei suoi occhi; il dubbio che questa sua notizia non ti colga precisamente con gioia. Probabile che per una frazione di secondo ti sfugga un sorriso a questo pensiero, perché tutto ti sembra così maledettamente ironico dal tuo punto di vista e arrivi addirittura a provare dispiacere per lei; per lei e per tutte le facce toste del mondo che vorrebbero soltanto decidere il percorso della vita degli altri, da qui all’infinito; e poi rimangono delusi quando non ci riescono; oppure si arrabbiano, accusano, giudicano. Per la verità, lei non sta dicendo ancora niente, ma ti senti addosso tutto il peso delle sue aspettative. Eppure sei assolutamente sicuro del fatto che fra voi non ci siano mai state promesse. È questo che stavi facendo. Dovevi dichiarare queste intenzioni, mettere nero su bianco questa tua volontà di ricerca di comprensione di te stesso; o fare, che so, testamento, dichiarando, nel pieno possesso delle tue facoltà mentali, che da qui a cinque minuti, cinque mesi, cinque anni, non volevi assolutamente diventare padre? No, di solito la gente non è così gentile nei loro confronti. Tu ti sei rifiutato fin dal primo momento di etichettarla. Per te Alex era la passione pura e travolgente che l'estate aveva fatto arrivare fino a te. Con lei non avevi avuto freni inibitori e ti eri sentito completamente libero di essere te stesso, per la prima volta. Una sensazione totalmente nuova per te. Il sesso così non l'avevi mai vissuto, eppure ti sembrava tutto completamente sbagliato. Meraviglioso, eppure sbagliato. Il mondo intorno a te chiedeva che tu fossi l'uomo forte e virile che appena si fosse messo sul serio con qualcuna avrebbe avuto cinque figli almeno, ma che poi avrebbe avuto donne e ancora donne in quantità. L'amante per eccellenza, così ti vedevano. Doveva quindi esserci un mondo di tenebra dentro di te e anelavi a che qualcosa o qualcuno ti squarciasse il petto per strappartelo via, lasciando entrare quella luce che ti avrebbe finalmente fatto sentire in pace. Avresti voluto essere una persona normale, rientrando forse banalmente in uno schema e fare quello che fanno gli altri; essere quello che ci si aspettava da uno come te. Oppure avresti voluto trovare il coraggio di essere soltanto te stesso e fregartene di cosa si aspettavano gli altri. E comprendi che la questione non è essere sbagliati, ma sentirsi sbagliati. Quella striscia di sabbia che ora si avvicina comincia a essere più movimentata, molte persone stanno facendo il bagno e allora ti avvicini alla riva con delicatezza. Raccogli con calma la tua attrezzatura, stanco ma improvvisamente leggero nella testa, pensando che forse tutto questo ordine del cosiddetto mondo normale sia solo apparente e che molti prima di te hanno di certo dovuto percorrere strade diverse per trovare la propria felicità. È valsa la pena uscire in mare, pensi, perché non ce l’hai più questo timore di affrontare le cose, né c’è più quel sentimento di impotenza e di resa di fronte a ciò che vogliono gli altri.
Carichi la macchina e torni verso casa, deciso a vivere la tua vita così come sei. In qualche modo ce la farai.
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