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Testo a Fronte

“Testo a Fronte”, di seguito TAF, è una rivista semestrale, si occupa di teoria e pratica della traduzione letteraria, è diretta da Franco Buffoni, Paolo Proietti, Gianni Pugliesi, caporedattore Edoardo Zuccato, in redazione troviamo Gabriele Boni, Francesco Laurenti, Umberto Motta, Marida Rizzati, Laura Sica, Silvia Velardi. La rivista è curata dalla Sezione di Comparatistica dell’Istituto di Arti, Culture e Letterature Comparate della Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, ed è edita da Marcos y Marcos di Milano.

TAF è una rivista di grande interesse, ben strutturata, esigente nei contenuti. Vi si leggono saggi e articoli importanti in relazione al problema della traduzione letteraria. In coda alla rivista v’è il “Quaderno di traduzioni” che ospita testi di autori tradotti da altri autori, alcuni proposti per la prima volta in italiano. Anche dal punto di vista della stampa la rivista è godibile, sia nella consistenza della carta che nel formato e nell’impaginazione, si legge con scorrevolezza, e non è poco. Altro fatto rilevante è che la rivista è una delle poche che esce con puntualità sotto l’incalzante direzione del poeta lombardo Franco Buffoni, professore ordinario di Critica Letteraria e Letterature Comparate, ha insegnato nelle università di Bergamo, Cassino, Milano IULM, Parma e Torino.

Ma veniamo all’ultimo numero pubblicato, il n. 42 del primo semestre 2010, di cui riporterò semplicemente alcuni estratti dai vari articoli per dare un’idea dei temi trattati, senza pretesa di esaurire la complessità e la ricchezza degli studi proposti, o la bellezza dei testi tradotti. Il primo articolo è di Werner v. Koppenfels a cura di Laura Lanni, dal titolo “Intertestualità e cambiamento di lingua. La traduzione letteraria”, inizia così: “Mai come oggi la traduzione come genere di testo è oggetto di dibattito. […]”, e continua “[…] Una traduzione letteraria che meriti questo nome, cerca di rimediare alla perdita di significato, inevitabile di fronte alla differenza dei sistemi linguistici e alle distanze culturali di luogotempo, attraverso un lavoro di compensazione che trae forza dall’energia linguistica ed estetica propria del traduttore. La trasposizione creativa dell’originale deve essere preceduta da un’analisi critica dello stesso e da una gerarchizzazione dei suoi elementi stilistici adeguatamente interpretati, operazioni intrise di individualità e di storia, come accade per ogni ricezione testuale. […]”, e ancora “[…] La traduzione letteraria è eo ipso un genere secondario, ‘costruzione vincolata di un testo’, e quindi ontologicamente incompleta […]: la casualità della traduzione risulta impensabile. Quale rapporto la lega però alla modalità della propria fruizione? […]”. Interessante la quinta sezione dell’articolo dal titolo “intertestualità e teoria della traduzione: l’esempio del sonetto 60 di Shakespeare in due versioni tedesche”.

L’articolo successivo è dedicato a Dostoevskij ed è firmato da Pierluigi Cuzzolin, dal titolo “Tradurre l’incipit di ЗАПИСКИ ИЗ ПОДПОЛЬЯ. Rivendicazioni sommesse di un linguista”. Per chi non fosse esperto in russo, io non lo sono, si sappia che le parole del titolo in alfabeto cirillico, si riferiscono al noto testo di Dostoevskij “Le memorie del sottosuolo”, “[…] secondo il titolo che si è imposto come quello canonico; […]”, come afferma l’autore, “[…] il titolo non è un elemento accessorio di un libro, di nessun libro, e nel caso di Dostoevskij, non si può dire che egli non abbia già subito qualche danno permanente, se mi si passa l’espressione. […]”. Tutti noi, o meglio, la maggior parte di noi lettori, quando leggiamo libri di autori tradotti in italiano, diamo per scontato che il titolo rispecchi le intenzioni dell’autore, così come espresso nella lingua originale, in realtà non sempre è così, come ci fa notare Cuzzolin, per esempio non lo è per Dostoevskij ma neanche per Tolstoj con “Guerra e pace”; infatti l’autore fa notare, con una interessante spiegazione che invito a leggere, che la traduzione più adatta del titolo sarebbe “Guerra e società”. Ma per tornare al tema portante dell’articolo riguardante l’incipit della suddetta opera di Dostoevskij, egli si esprime così “Ciò che mi preme di fare in queste pagine, invece, è di dare voce alle necessità del testo, e in primo luogo della lingua, e di rivendicarne, seppure sommessamente, le ragioni ineludibili; […]”.
Ma come va a finire per la traduzione italiana dell’opera “ЗАПИСКИ ИЗ ПОДПОЛЬЯ” di Dostoevskij? Abilmente, con una serie di convincenti considerazioni, Cuzzolin conclude che sarebbe più adatto tradurre la parola ЗАПИСКИ con “appunti, annotazioni”, anziché “memorie”. L’articolo procede con tutta una serie di convincenti osservazioni, rivendicazioni sommesse di un linguista, fino alla proposta di traduzione dell’incipit di ЗАПИСКИ ИЗ ПОДПОЛЬЯ, ecco le prime righe: “Io sono una persona malata… Io sono una cattiva persona. Sgradevole, ecco che persona sono io. […]”.

Altro interessante articolo è quello di Tania Baumann dal titolo “Le traduzioni tedesche delle opere deleddiane: gli ultimi vent’anni (1987-2007)”, articolo basato su una relazione tenuta dall’autrice nell’ambito del Convegno “Chi ha paura di Grazia Deledda? Traduzione – ricezione – comparazione”, presso la Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università degli Studi di Sassari nell’ottobre 2007. Un lavoro che “[…] intende riprendere e sviluppare l’analisi avviata da Hirdt valutando criticamente le nuove traduzioni tedesche apparse dopo il 1986. Il metodo seguite consiste nell’integrazione dell’approccio proposto da questo autore con osservazioni linguistico-traduttologiche. […]”.

Segue l’articolo di Mathilde Vischer dal titolo “Traduzione e di stanziamento nell’opera di Fabio Pusterla”, tradotto da Yari Bernasconi. Nell’introduzione si esprime così: “Questo articolo vuole proporre una riflesisone sull’influenza della traduzione sull’opera poetica di Fabio Pusterla. […]. Studieremo, insomma, le conseguenze che una pratica intensa della traduzione può comportare sulla scrittura creativa del poeta-traduttore. […]”.
Segue ancora una bella traduzione a cura di Saverio Tomaiolo del poema “Façade” scritto dalla poetessa e critica Edith Sitwell (1887-1964). Esso “venne pubblicato quasi intero nel corso del 1918 sulla rivista letteraria ‘Wheels’. In seguito i poemi vennero orchestrati dal compositore Sir William Turner Walton (1902-1983) NEL 1922-23. Sia la poetessa Sitwell che William Walton sono generalmente associati alla corrente artistica del Modernismo. […]”. Ecco l’incipit dal titolo “Danza marinaresca (Venite marinai)”: “Venite marinai / Al suon dei tamburi / Da Babilonia; / Cavalli a dondolo / Schiumano, silenziosi / Rinoceronti celesti languono / […]”.

Segue, di Danilo Vicca, l’articolo “Sulle traduzioni italiane di ‘Du mouvement et de l’immobilité de Douve’ di Yves Bonnefoy: problemi e proposte”. Inizia così: “Tradurre Bonnefoy è un’operazione estremamente complessa nella misura in cui complessa è la poetica che l’autore ha maturato nel corso della sua carriera artistica, di critico d’arte e filosofo. Il suo traduttore si confronta con un’opera assai vasta con inevitabili implicazioni tanto positive, […], quanto negative, […]”.

L’articolo di Marco Sonzogni è in memoria di John Updike (1932-2009), traduttore di Montale in lingua inglese, il titolo è: “Dall’ombra lunga di Arsenio: Updike traduttore di Montale”:

Eugenio Montale
ECLOGA

Perdersi nel bigio ondoso
Dei miei ulivi era buono
Nel tempo andato – loquaci
Di riattanti uccelli
e di cantanti rivi.
[…]

John Updike
ECLOGUE

Losing myself in the shuffling grey
Of my olive trees was pleasant
In times gone by – the eloquence
Of birds quarrelling
And of rivulets singing!
[…]

Leggiamo, a pagina 166, da “Mandeln Atmen – Respiro di mandorla. Dialogo con Paul Celan”, alcuni versi di Elisa Bigini, accompagnati da questa nota: “Esperimento di dialogo attivo con un poeta amato: testi costruiti intorno a singoli versi del poeta tedesco, allontanati dal contesto originario e usati come micce per scatenare una nuova deflagrazione poetica”. Alcuni versi: “è la pausa dell’orologio / scarico, il HERZZAHNEN / a cui il bavero / resta impigliato, // tu, bottone infilzato.” (HERZZAHNEN, Cuore dentato).

Ed ecco il bel articolo di Franco Buffoni dal titolo “Ricordo di Edoardo Sanguineti traduttore”, in cui afferma: “Assumiamo dunque il Catullo di Sanguineti come esempio paradigmatico della possibilità di riconoscere dignità artistica al testo tradotto; ne consegue la estrema valorizzazione del momento della creazione del testo tradotto, ovvero della risonanza culturale che una traduzione in quanto testo autonomo – sortisce sul lettore. La ‘traduzione’ di Sanguineti da questo punto di vista è appunto esemplare: viene letta e ricordata, e a sua volta citata autonomamente. […] Nella prospettiva Catullo-Sanguineti, la traduzione di poesia può essere quindi definita anceschiamente come il rapporto paritario tra due poetiche. Un rapporto che toglie ogni rigidità all’atto traduttivo, facendo accantonare ogni idea di copia, di rispecchiamento, e quindi qualificandolo in tutta la sua dignità di rapporto poetico fra due processi, fra due momenti costruttivi, non fra due risultati definitivi e fermi. […]”. A seguire si legge, di Edoardo Sanguineti, per gentile concessione dell’editore Motta, “Per la storia di un’imitazione”; e, di Manuela Manfredini, “Sonetti di Shakespeare alla Sanguineti”.

A pagina 193 si leggono, nella traduzione di Franco Buffoni, una scelta di quattro sonetti di Shakespeare “Per i quattrocento anni dei Sonetti di Shakespeare”. Riporto parte del Sonetto 33:

William Shakespeare
SONNET 33

Full many a glorious morning, have I seen,
Flatter the mountain-tops with sovereign eye,
Kissing with golden face the meadows green;
Gilding pale streams with heavenly alchemy:
[…].

Franco Buffoni
MOLTE VOLTE L’HO VISTO AL MATTINO

Molte volte l’ho visto al mattino
corteggiare le cime dei monti,
Baciare i prati, dare vita all’acqua
Con l’alchimia dell’oro nello sguardo
[…].

Infine, a chiudere la rivista, il “Quaderno di traduzioni – Poesia”, le “Recensioni” e le “Segnalazioni”, quest’ultima sezione è a cura di Edoardo Zuccato.
Segnalo gli autori e i traduttori del Quaderno di traduzioni: J. L. Borges / C. Recalcati; H. Hélder / R. Baggiani; J. Milton / F. Giacomantonio; J. Keats / F. Dalessandro; J. Joyce / M. Sonzogni; D. Walcott / M. Posio; C. Abani / C. Monti; G. Benn / G. Bevilacqua.

I segnalati: Derek Walcott / Franco Buffoni; Elisa Donzelli / Franco Buffoni; Douglas Hofstadter / Pietro Per conti e Paola Turina.

Ecco concluso l’excursus su questa notevole rivista di teoria e pratica della traduzione.
E’ possibile acquistarla online, su ibs.it ad esempio, o abbonarsi. L’abbonamento annuo costa, per l’Italia, 38,00 euro, per l’estero 45,00 euro. Versamento sul ccp 27180207 intestato a Marcos y Marcos, via Ozanam 8, 20129 Milano. Gli abbonamenti decorrono dal gennaio di ogni anno. L’abbonamento nel corso dell’anno dà diritto a ricevere il numero arretrato.
Buona lettura.

 Franca Alaimo - 20/11/2010 18:53:00 [ leggi altri commenti di Franca Alaimo » ]

Sento in modo molto vivo la questione della traduzione, perché anch’io ho tradotto da altre lingue; qualche anno fa, alcune poesie di Peter Russell, poi pubblicate da due piccole case editrici; e da qualche mese alcuni testi dallo spagnuolo; queste ultime traduzioni sono confluite in un’antologia,pubblicata pochi giorni fa.
I dubbi, le perplessità, sono sempre tanti: passare dalla musica di una lingua a quella di un’altra è già di per sè un’offesa, una ferita immarginabile.
E però il lettore sa, quando legge, di trovarsi di fronte ad una buona traduzione o no; quali siano gli ingredienti giusti, è difficle dire, perché sono tanti e ad essi si aggiunge il più misterioso che forse si può individuare in quella risonanza che il testo ha avuto in chi si accinge a tradurlo, ma quanta e quale sia e di che qualità è cosa che varia da lettore a lettore.
Tutto ciò per dire che gli articoli, così bene riassunti da Roberto, sono senza dubbio interessnti per tutti e specialmente per chi ama, come me, tradurre. Vedrò di abbonarmi per l’anno 2011.

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