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al testo di Roberto Maggiani
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Francesco De Napoli opera da circa un trentennio presso l’Assessorato alla Cultura Biblioteca Comunale di Cassino ed è autore di numerosi volumi, tra poesia, narrativa e saggistica, è curatore di diverse antologie, si presenta a noi lettori con una nuova raccolta, ben prefata da Mario Santoro, dal titolo Carte da gioco, sottotitolata Trilogia dell’infanzia. L’opera è divisa in tre parti: L’attesa (1987), La casa del porto (1994 – 2002), Carte da gioco (2001). Seguo quest’autore da ormai diversi anni e ho sempre trovato in lui una personalissima ricerca poetica che ben è espressa nella nota critica di Massimo Grillandi posta al termine della raccolta: “La poesia di Francesco De Napoli nasce da una genuina tensione interiore, dalla necessità di recuperare con il proprio passato anche il profumo inconfondibile dei sentimenti, che lo hanno alimentato e ne costituiscono l’essenza più vera. Le radici del poeta formano quindi la ragione prima della sua ispirazione e muovono accortamente, ma anche in modo appassionato, le acque di una nostalgia, che non riesce a farsi rimpianto, ma resta sempre sottesa alla necessità di instaurare, con se stesso e con gli altri, un colloquio che abbia un significato inteso a trascendere il privato e a farsi discorso universale e universalmente accettabile”. In fondo al libro si può anche leggere una bella testimonianza di Giorgio Bàrberi Squarotti. Personalmente ho trovato varie perle, legate tra loro dal filo d’oro che percorre il dettato poetico dell’autore. La memoria si fa miracolo attualizzante, con un gusto di proustiana forza evocativa, “[…] / Respiro il silenzio di quei giorni, / miracolo di memoria.” (Pag. 24). Il viaggio, l’arrivo, la partenza, il ritorno, la crescita, lo stupore del mondo, il sapore della genuina semplicità delle relazioni e la loro cifra di verità, la ricerca di una serenità, guadagnata dall’aver profuso sangue, sono solo alcune delle suggestioni: […] Ciascuno ha sempre riservato il posto più adatto alla sua sorte. Così, l’aver profuso ovunque sangue e vigore ti fece approdare infine nell’arcana martoriata Cassino. Lo sguardo mite e sorridente dei tuoi giorni migliori evocava ricordi di vite già vissute altrove. (Pag. 25) Ti promisi che sarei diventato me stesso uscendo insieme, una sera d’estate. […] (Pag. 29) Ma crescere, diventare se stessi, adulti, significa anche fare esperienza del malessere esistenziale e della morte; riporto qui, semplicemente, due poesie che trovo di grande valore umano ed estetico: L’ho provato anch’io questo malessere, questo groppo in gola, questa voglia di sparire, di dissolvermi. E ad ogni delusione seguiva una volontà nuova, ferma, di studiare questi volti sempre diversi, misteriosi, perciò delle mie ingenuità ingannatori. E fissavo ogni ruga, ogni mossa che potesse essermi d’aiuto domani, andando incontro a nuovi tradimenti. Placato nell’orgoglio dell’attesa che prosciuga le venerdì come i campi d’estate: perché non vale il rifiuto, vana è la fuga. (Pag. 35) Il giorno in cui morì mio padre m’ero bagnato per l’ultima volta, nudo, sfidando la sorte, nell’azzurro totale, profondo, amaro, smisurato, sordo a ogni preghiera, vile, crudele del dolore. L’appuntamento era stato rinviato troppe volte, per troppo tempo avevamo respinto il male. Mi sembrava d’essere invitato all’atto finale. M’immersi implacabile per lui, che non lo vide neppure, il mare. (Pag. 36) La poesia di De Napoli è totalmente concreta, esperienziale, libera da sovrabbondanze di aggettivi e verbi, è quasi un racconto che intesse storie personali ma che irradiano universalità, potrebbe essere la storia del lettore. A tratti è prosa modellata in canto; difatti ci si può trovare a leggere cantilenando tra qualche assonanza che incalza l’andare del pensiero per vie di fanciullesca memoria. […] Sento il profumo della mia terra: ulivi e granone, arance e cicoria. Ma come sanguina il seme della memoria. - Ride la cicala, premonizione amara […] (Pag. 18) Non posso, infine, non complimentarmi con l'Editore per la bella copertina.
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